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Pietro d’Acquarone, 1942

    Pietro d'Acquarone, 1942
    Pietro d'Acquarone, 1942

    IL MINISTRO DELLA CASA DI SUA MAESTÀ IL RE E IMPERATORE

    Roma, li 4 marzo 1942-XX.

    Eccellenza
    Senatore Prof. Cav. di Gr. Cr. Carlo SCHANZER[1]
    Ministro di Stato
    Via Cornelio Celso 7

    ROMA

    Sua Maestà il Re e Imperatore[2] ha ordinato un lutto di
    Corte di giorni venti a partire da oggi, per il decesso
    di Sua Altezza Reale il Principe Amedeo, Umberto, Isa-
    bella, Luigi, Filippo, Maria, Giuseppe, Giovanni di
    Savoia-Aosta, Duca d’Aosta[3], avvenuto ieri a Nairobi in
    Prigionia di Guerra in seguito a breve violenta malattia.

    D’Acquarone[4]


    Note

    [1] Carlo Schanzer (Vienna, 18 dicembre 1865 – Roma, 23 ottobre 1953) è stato un politico italiano.
    Carriera professionale
    Avvocato, ufficiale della direzione generale di statistica, passò in seguito alla Biblioteca del Senato del Regno. Nel 1893 fu nominato referendario e divenne consigliere di Stato nel 1898. Dal 1901 fu direttore generale dell’amministrazione civile, e deputato al Parlamento dal 1900 al 1919.
    Carriera politica
    Chiamato al Governo, fu ministro delle poste e telegrafi dal 1906 al 1909; dal 1912 ricoprì la carica di presidente di sezione del Consiglio di Stato. Fu nominato Senatore del Regno il 7 ottobre 1919.
    Nel 1919-20 fu di nuovo ministro del tesoro, poi delle finanze, e poi di nuovo del tesoro. Fu poi a capo della delegazione italiana alla Conferenza navale di Washington (nel 1921), delegato italiano alla conferenza di Genova (nel 1922) e poi più volte delegato all’assemblea delle Società delle Nazioni; chiamato di nuovo al governo, fu per due volte Ministro degli esteri nel 1922. Si iscrisse all’Unione Nazionale Fascista del Senato (UNFS) il 9 giugno 1926 e al Partito Nazionale Fascista (PNF) 15 aprile 1929. Nominato Ministro di Stato, sarà collocato a riposo dal Consiglio di Stato, a domanda, il 26 dicembre 1928.(fonte)
    Nel marzo del 1932 fu sollecitato a intervenire in aula a favore del testo unico della legge comunale e provinciale. Si distinse ancora il 12 gennaio 1934 per un convinto discorso a favore della legge istitutiva delle corporazioni, e nel dicembre del 1935, per il dono di 141 grammi d’oro a sostegno della guerra d’Etiopia. Continuò a partecipare ai lavori del Senato, ormai confinati nelle commissioni, mentre assieme a pochi altri senatori liberali, non partecipò alla seduta in cui furono approvate le leggi razziali (1938).
    Il 7 agosto 1944 l’Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo, Carlo Sforza, propose la sua decadenza, decisa dall’Alta Corte di giustizia con ordinanza del 21 ottobre 1944. Contro l’ordinanza Schanzer presentò ricorso alla Corte suprema di Cassazione, la quale, con sentenza dell’8 luglio 1948, annullò la decadenza. Trascorse gli ultimi anni riordinando le proprie carte e cercando di difendere la propria immagine dalle polemiche giornalistiche che di tanto in tanto ancora sorgevano attorno alla sua figura. Morì a Roma il 23 ottobre 1953.(fonte)

    [2] Vittorio Emanuele III di Savoia (Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia; Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947) è stato Re d’Italia (dal 1900 al 1946), Imperatore d’Etiopia (dal 1936 al 1943), Primo Maresciallo dell’Impero (dal 4 aprile 1938) e Re d’Albania (dal 1939 al 1943). Abdicò il 9 maggio 1946 e gli succedette il figlio Umberto II.
    Figlio di Umberto I di Savoia e di Margherita di Savoia, alla nascita ricevette il titolo di Principe di Napoli, nell’evidente intento di sottolineare l’unità nazionale, raggiunta da poco.
    Il suo lungo regno (46 anni) vide, oltre alle due guerre mondiali, l’introduzione del suffragio universale maschile (1912) e femminile (1945), delle prime importanti forme di protezione sociale, il declino e il crollo dello Stato liberale (1900-1922), la nascita e il crollo dello Stato fascista (1925-1943), la composizione della questione romana (1929), il raggiungimento dei massimi confini territoriali dell’Italia unita e le maggiori conquiste in ambito coloniale (Libia ed Etiopia). Morì poco più di un anno e mezzo dopo la fine del Regno d’Italia.
    A seguito della vittoria nella prima guerra mondiale venne appellato “Re soldato”.
    Detenne un ruolo fondamentale nella fine della neutralità italiana e nell’entrata in guerra durante la prima guerra mondiale, nell’affermazione del fascismo, nelle guerre coloniali e nell’entrata in guerra durante la seconda guerra mondiale, nell’esautoramento di Mussolini a cui seguì la precipitosa fuga da Roma dopo l’armistizio del 1943 lasciando esercito e civili a loro stessi. Nel 1946 compì un tardivo tentativo di salvare la monarchia abdicando a favore del figlio ed optando per un autoesilio in Egitto. In Italia gli odonimi a lui dedicati sono 409 e sono distribuiti in maniera difforme.

    [3] Amedeo di Savoia, duca d’Aosta (Amedeo Umberto Lorenzo Marco Paolo Isabella Luigi Filippo Maria Giuseppe Giovanni; Torino, 21 ottobre 1898 – Nairobi, 3 marzo 1942), è stato un generale e aviatore italiano, membro della famiglia reale italiana appartenente al ramo Savoia-Aosta; fu viceré d’Etiopia dal 1937 al 1941. Venne soprannominato Duca di Ferro e Eroe dell’Amba Alagi.

    Amedeo, prigioniero di guerra numero 11590, venne trasferito in Kenia in aereo; durante il volo gli vennero ceduti per alcuni istanti i comandi, in modo da consentirgli di pilotare per l’ultima volta. Arrivato in Kenia, venne tenuto prigioniero dagl’inglesi insieme al suo Ufficiale d’ordinanza (il tenente pilota Flavio Danieli) presso Dònyo Sàbouk, una località insalùbre e infestata dalla malaria situata a 70 chilometri da Nairobi. Nonostante Amedeo intercedesse presso le autorità inglesi affinché queste migliorassero le condizioni dei militari italiani e per il rimpatrio dei civili, il comando britannico non gli consentì di ricevere nessuno, né di visitare gli altri prigionieri.
    Nel novembre 1941 Amedeo iniziò ad accusare alcuni malori: a dicembre una febbre alta lo costrinse a letto. Tre settimane dopo il comando britannico permise ad Amedeo di recarsi a visitare i prigionieri italiani (sarebbe stata l’ultima sua uscita), ma gli impedirono di salutarli personalmente: Amedeo ottenne solo che la sua vettura procedesse a passo d’uomo di fronte ai cancelli del campo di prigionia. Il 26 gennaio 1942 gli vennero diagnosticate malaria e tubercolosi: tale responso medico, per le condizioni in cui il duca si trovava, significava morte certa.
    Amedeo morì il 3 marzo 1942 nell’ospedale militare di Nairobi, dove fu da ultimo ricoverato; a raccogliere gli ultimi respiri del duca fu il tenente della Regia Aeronautica Biagio Guarnaccio; al suo funerale anche i generali britannici indossarono il lutto al braccio; per sua espressa volontà è sepolto al sacrario militare italiano di Nyeri, in Kenya, insieme con 676 suoi soldati. Poiché Amedeo aveva avuto solo figlie femmine, nel titolo ducale gli succedette il fratello Aimone. Amedeo aveva fama di essere un gentiluomo: prima di lasciare la sua sede di Addis Abeba, scrisse una nota ai comandi britannici per ringraziarli in anticipo della futura protezione alle donne e ai bambini del luogo.(fonte)

    [4] Pietro d’Acquarone. Nacque a Genova il 9 apr. 1890 dal conte Luigi Filippo e da Maria Pignatelli Montecalvo. Intraprese la carriera militare nell’arma di cavalleria, fu in Libia nel 1913 e partecipò alla prima guerra mondiale guadagnandosi una medaglia di bronzo (Falzarego, 21 ag. 1915) e una d’argento (Monfalcone, 15 maggio 1916). Fu, dopo la guerra, istruttore militare del principe ereditario Umberto. Nel 1924 abbandonò la carriera militare, ove aveva raggiunto il grado di generale di brigata di cavalleria, per dedicarsi alla direzione della società Trezza, a Verona (aveva sposato Maddalena Trezza). A Verona, l’A. ricoprì anche la carica di vice presidente della Camera di commercio, trasformatasi poi in Consiglio provinciale dell’economia corporativa.
    Nominato senatore per censo il 23 genn. 1934, si acquistò la stima di Vittorio Emanuele III per le sue qualità di finanziere e di amministratore, e fu da questo nominato alla fine del 1938 ministro della Real Casa. Il 19 ott. 1942 ebbe il titolo di duca. La sua abilità nell’amministrare i beni della Corona gli guadagnò la piena fiducia del parsimonioso sovrano, che ne fece il più intimo e ascoltato consigliere.
    In tale qualità, l’A. svolse, negli eventi che portarono al colpo di stato del 25 luglio 1943, un ruolo importante, come intermediario fra la Corona, i fascisti dissidenti, gli ambienti militari, desiderosi anch’essi di sganciarsi dal fascismo, e alcune personalità del mondo degli affari e dei gruppi politici antifascisti.
    Già il 14 marzo 1940 l’A. aveva avvicinato il conte G. Ciano, parlandogli delle gravi preoccupazioni del re per la situazione e dell’affetto e della fiducia che quegli nutriva nei di lui confronti. L’avance rimase, per allora, senza seguito. Quando poi Ciano, nel febbraio 1943, passò dal ministero degli Esteri all’ambasciata presso il Vaticano, l’A. si dimostrò soddisfatto, pensando evidentemente ai vantaggi che quella posizione offriva alla fronda fascista. I contatti dell’A. con D. Grandi sono pure ricordati da molti dei protagonisti di quegli eventi: fu l’A., per esempio, che, terminata la seduta del Gran Consiglio, si recò da Grandi la mattina del 25 luglio 1943, informando subito dopo il re.
    Sembra infatti potersi attribuire all’A. l’intenzione, che era poi anche quella del sovrano, di operare un distacco dal fascismo (e dalla Germania) cauto e graduale: un “fascismo senza Mussolini”, un governo di funzionari e di militari, una resistenza il più possibile prolungata alle esigenze poste dalle forze politiche antifasciste. L’A. fu perciò contrario alla combinazione governativa, prospettatasi ai primi di luglio, di P. Badoglio, presidente del Consiglio con I. Bonomi vicepresidente.
    Nell’ambiente militare l’A. ebbe, in particolare, contatti con i generali V. Ambrosio, capo di Stato maggiore generale, G. Carboni, G. Castellano, oltre che con Badoglio, di cui era stato ufficiale d’ordinanza e col quale era da tempo in rapporti personali.
    Il 26 maggio 1943 l’A. ebbe il suo primo colloquio con Bonomi, che si presentava a nome di un gruppo di personalità politiche, soprattutto prefasciste. L’A. fu tramite dei colloqui col re dello stesso Bonomi e di M. Soleri; e fu intermediario anche fra il sovrano e V. E. Orlando. Mussolini, cui il capo della polizia fece cenno dei complessi maneggi dell’A., non volle tuttavia darvi peso. La sera del 25 luglio 1943 l’A. fu tra i protagonisti dell’arresto di Mussolini, quando questi uscì dal colloquio con il re a villa Savoia. Costituitosi il governo Badoglio secondo la formula, da lui patrocinata, di “governo d’affari”, l’A. continuò a svolgere una attività di grande rilievo, tanto da essere considerato da più parti l'”eminenza grigia” del ministero (così lo definisce I. Bonomi nel suo Diario, p. 61). Sembra che l’A. abbia svolto in quel periodo anche opera di mediazione fra il re e la principessa di Piemonte, sospettata dal sovrano di svolgere una politica personale.
    Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Anglo-Americani (8 sett. 1943), l’A., che non era stato estraneo alla sua preparazione, seguì il re e Badoglio prima a Pescara, poi a Brindisi. Colà continuò a tenere i contatti fra la Corona e i principali uomini politici (B. Croce, E. De Nicola, G. Porzio, G. Rodinò, C. Sforza ed altri) e ad esercitare ampio influsso sull’animo e sulle decisioni del sovrano, tanto da contrapporsi, in qualche circostanza, allo stesso Badoglio.
    Ciò avvenne, in particolare, di fronte al problema della dichiarazione di guerra alla Germania: l’A. era contrario, almeno come misura immediata; e questa posizione fu anche di Vittorio Emanuele. Cosicché, per giungere alla dichiarazione (13 ottobre), Badoglio “dovette approfittare di un’assenza del duca A., non sempre suo [del re] saggio consigliere” (V. Vailati, p. 404). Così, l’A. fu anche ostilissimo al corpo di volontari (i “Gruppi Combattenti Italia”) che, su iniziativa di B. Croce e sotto il comando del generale G. Pavone, vanamente si tentò di costituire a Napoli nell’ottobre.
    Contrario all’abdicazione di Vittorio Emanuele, l’A. perse importanza politica dopo che il vecchio sovrano finì con l’accettare la soluzione della luogotenenza da affidare al figlio Umberto, i cui rapporti con l’A. non sembra fossero sempre stati eccellenti. Nel maggio 1944 l’A. lasciò la carica effettiva di ministro della Real Casa, avendo il luogotenente proceduto a una nuova nomina. Mantenne tuttavia il titolo ad honorem, e fu accanto a Vittorio Emanuele fino alla sua abdicazione (9 maggio 1946). Si ritirò quindi definitivamente dalla vita pubblica, e tornò alla direzione effettiva della società Trezza. Non fu compreso fra i senatori dichiarati decaduti dall’Alta Corte di giustizia “per atti rilevanti a favore del fascismo”. Morì a San Remo il 13 febbraio 1948.(fonte)