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Enrico Dones. Saronno, 1945

    Enrico Dones, 1945
    « di 2 »

    Saronno 4-2-45
    Carissimo Gianni,
    finalmente sono riuscito ad avere il tuo
    indirizzo con tue nuove, (grazie alla bontà di tua sorella) dico
    finalmente perché non sapevo come fare per metterci di nuovo
    in comunicazione.
    Ho ricevuto l’anno scorso gli auguri Pasquali che
    contracambiai subito ma non ho avuto più risposta ne a quello
    ne ad altri scritti, ed allora pensai ad un nuovo trasferimento.
    Soltanto tre mesi fa andando a Torino, per caso
    sul treno mi son trovato col collega Fontana e naturalmente
    abbiamo rievocato i bei tempi passati assieme e ci siamo doman=
    dati a vicenda notizie dei cari compagni che il destino avverso
    ha voluto separarci, auguriamoci che sia ancora per poco così
    da rivederci presto in seno alle nostre care famiglie tanto scon=
    volte specialmente in questi tempi.
    Fontana fra l’altro mi disse che aveva trovato
    Burzio il quale era rientrato con te dalla Germania e che ti
    trovavi a far servizio a Santhià, nel ritorno mi son fermato
    colla speranza di ritrovarti e passare qualche giorno assieme, ma
    il mio desiderio non è stato coronato da successo perché ho cercato
    d’appertutto ma nessuno ha saputo dirmi niente, cosicché ho
    pensato di rivolgermi alla tua buona sorella che mi ha risposto
    subito.
    Sono molto contento che nonostante i non pochi
    sacrifici ti trovi sempre in ottima salute ciò mi fa molto
    piacere, quando ci ritroveremo e spero che non sia lungo avrai
    certamente molte cose da raccontare.
    Spero che tua sorella ti avrà già informato del
    mio scritto e scusami tanto se non ti scrissi subito appena avuto

    l’indirizzo ciò che sarebbe stato mio desiderio, ma dato che
    lavoro a Monza e sono sempre fuori in giro così così che contro la
    mia volontà sto magari anche un mese senza poter
    andare a casa.
    Cosicché non ho potuto averla subito la lettera e i miei non sapevano come recapitarmela.
    Di solito vado a casa al sabato sera per
    ripartire al lunedì mattina, ma quando si è fuori
    specialmente in questi momenti che i mezzi di comunica=
    zione sono piuttosto scarsi si sa quando si parte
    ma non si sa quando si arriva, comunque aspetto
    da te un lungo letterone e non farci caso, data la
    mia incapacità nello scrivere, se non sono all’altezza
    di scriverti come si dovrebbe scrivere ad un amico come
    te dopo tanto tempo di ansie senza tue nuove.
    Volevo rivolgermi prima a tua sorella per sapere
    tue nuove, non l’ho fatto non per altro per non rinnovare
    in lei il dolore sapendomi a casa e no, sapevo dove
    ti trovavi perché quasi subito dopo la data fatale, andando
    a Biella ho trovato Ceresa ed altri; che ora mi sfugge il
    nome, raccontandomi la sorte tua e degli altri compagni.
    Spero che questa mia ti trovi sempre bene ed
    in gamba come una volta nonostante che gli anni passano,
    ma quando si è dei veri militari non si invecchia mai.
    La mia salute è sempre ottima così pure i miei
    famigliari, il mio povero Papà ci ha abbandonati
    in questa valle di lacrime, ed è l’anniversario il 18 di questo mese,
    dopo non poche sofferenze sopportate con cristiana rassegnazione,
    e tu sai cosa voglia dire perdere il babbo, cerco di sopprimere
    il dolore pregando unico conforto che si possa avere in questo
    mondo.
    Termino la mia lunghissima chiacchierata invian=
    doti i miei migliori saluti ed auguri uniti ad un grosso
    bacione ed una forte stretta di mano, sempre ricordandoti
    Aff mo Enrico Dones

    Enrico Dones. 1945 busta
    « di 2 »

    busta

    Per il Serg. Magg. R.T.
    Gianni Dusio

    Posta da Campo n° 81975[1]

    Timbro MONZA MILANO
    18-19
    3 II
    15-XXIII[2]

    Dones Enrico
    Cascina Spinelli 11
    Saronno
    (Varese)


    Note

    [1] Il servizio postale militare utilizzato dall’Esercito Repubblicano è, sin dall’inizio, nettamente diverso da quello del Regio Esercito in quanto fondato sul sistema della posta militare tedesca (Feldpost): non vi è più l’assegnazione di un numero segreto ad ogni ufficio o grande unità, che obbliga comunque il mittente ad indicare il nome del reparto sulla sua corrispondenza per essere localizzato, ma vi è l’assegnazione di un numero a cinque cifre (Feldpostnummer) ad ogni unità militare, fino al livello del battaglione, e, all’interno di esso, ad ogni compagnia una lettera dell’alfabeto. Avremo quindi, per esempio, la Feldpost n. 84572 assegnata al Comando Terzo Btg. Pionieri della Divisione San Marco: se dopo tale numero vi fosse la lettera a, b, c o d, esse rappresenterebbero rispettivamente la Compagnia Comando, la prima, la seconda e la terza compagnia. Unico caso, all’interno degli alleati dei tedeschi, dal 15 febbraio 1944, ai reparti italiani viene assegnata la serie di numeri 80.000 come identificativo postale, anche se rimangono comunque attivi alcuni numeri di Feldpost di serie inferiori assegnati in precedenza. Caso a parte sono le corrispondenze dei militari italiani aggregati ai reparti tedeschi sui vari fronti: essi mantengono il loro numero di Feldpost in quanto non inquadrati nell’Esercito Repubblicano ma direttamente in quello tedesco. Da: Il servizio postale militare durante la Repubblica Sociale Italiana di Samuel Rimoldi(fonte)

    [2]Repubblica Sociale Italiana. (RSI) Denominazione assunta dal regime fascista repubblicano instaurato il 23 settembre 1943 da B. Mussolini, nella parte di territorio italiano occupato dai Tedeschi. Comprendeva le regioni del Centro-Nord a eccezione del Trentino, dell’Alto-Adige, della provincia di Belluno, del Friuli e della Venezia Giulia, dell’Istria, annesse di fatto al Terzo Reich. Il nuovo governo si insediò nei pressi di Salò, sul Lago di Garda (da cui la denominazione Repubblica di Salò), mentre i ministeri furono dislocati in varie sedi dell’Italia settentrionale. Il programma della RSI, esposto nel «manifesto di Verona» e approvato dal congresso del Partito fascista repubblicano (Verona 15-16 novembre 1943), riesumava, nel tentativo di conquistare il consenso popolare, le formule rivoluzionarie del primo fascismo e prevedeva, tra l’altro, l’abbandono delle corporazioni e la creazione di una Confederazione nazionale del lavoro, forme avanzate di legislazione sociale e la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Il programma, osteggiato dai Tedeschi e dagli ambienti industriali e finanziari, non fu realizzato mentre, a partire dagli scioperi del marzo 1944, si sviluppò una crescente opposizione operaia alla RSI. Subordinata ai Tedeschi, quest’ultima svolse un’azione prevalentemente amministrativa e militare nel conflitto con l’esercito alleato e il movimento partigiano.
    Il termine repubblichino – già usato da V. Alfieri in una lettera a Mario Bianchi del 15 aprile 1793, con riferimento ai fautori della Rivoluzione francese del 1792 – fu riesumato, con valore spregiativo, per la prima volta da U. Calosso in una trasmissione di Radio Londra, alla fine del 1943, e si diffuse poi in Italia per indicare dapprima i soldati chiamati alle armi dalla R., poi più genericamente gli appartenenti a tale Repubblica. © Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani – Riproduzione riservata(fonte)