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Giuseppe Landi, 1930

    Giuseppe Landi, 1930
    Giuseppe Landi, 1930

    Confederazione Nazionale
    Sindacati Fascisti del Commercio[1]
    Il Presidente

    Roma li 6 settembre 1930/VIII°

    11845

    Caro Domeneghini[2],
    tornato oggi a Roma dopo un viaggio all’Este=
    ro ho trovato la notizia della nascita della tua
    bambina.
    Ti prego gradire l’espressione dei miei più
    vivi rallegramenti e dei miei più cordiali auguri
    per il fausto evento. Ti sarò grato se vorrai farti
    interprete dei miei sentimenti anche presso la tua
    gentile Signora.
    Credimi con i più cordiali saluti fascisti.

    tuo

    Giuseppe Landi

    On.le Lino Domeneghini
    Commissario Unione Sindacati Fascisti Commercio
    =TRIESTE=


    Note

    [1] Confederazione fascista lavoratori del commercio.
    Sede: Roma
    Date di esistenza: 1929 – 1943
    Intestazioni:
    Confederazione fascista lavoratori del commercio, Roma, 1929 -1942, SIUSA
    La crisi vissuta dal regime nei mesi successivi alla presa del potere venne superata da Mussolini all’inizio del 1925 – pochi giorni dopo il VI Congresso della Cgl, tenuto a Milano nel dicembre 1924 -, quando il duce decise una svolta in senso “totalitario” attraverso una serie di provvedimenti liberticidi (le “leggi fascistissime”), che annullarono qualsiasi forma di opposizione al fascismo.
    Sul piano sindacale, con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconoscevano reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro e abolivano le Commissioni interne. La sanzione ufficiale di tale svolta arrivò con la legge n. 563 del 3 aprile 1926, che riconosceva giuridicamente il solo sindacato fascista (l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro), istituiva una speciale Magistratura per la risoluzione delle controversie di lavoro e cancellava il diritto di sciopero.
    Essa prevedeva, com’è noto, il riconoscimento, per ogni specie di impresa o categoria di prestatori d’opera, di un solo sindacato aderente alla Confederazione nazionale dei sindacati fascisti, al quale attribuiva potere di stipulare contratti collettivi obbligatori anche per i lavoratori non iscritti, e vietava, nel contempo, lo sciopero e la serrata, prescrivendo, in caso di conflitto, il ricorso alla Magistratura.

    Durante il secondo semestre del 1927 e i primi mesi dell’anno successivo si assistette ad una sottile polemica a sfondo antisindacale che culminò nell’intervento di Mussolini in occasione del III Congresso delle Corporazioni fasciste. In tale circostanza il capo del fascismo sottolineò la necessità di “perfezionare l’ordinamento sindacale, perfezionarlo nel suo inquadramento, nella sua costituzione organica”.
    Il discorso fu la premessa per un’offensiva contro l’organismo capitanato da Rossoni divenuto ormai scomodo a un’ampia componente del fascismo: il potere della Confederazione doveva a tutti i costi essere ridimensionato in favore del Partito. Il 21 novembre del 1928 si giunse così allo “sbloccamento”, ossia allo scioglimento della Confederazione unica.
    Sul piano nazionale, le categorie vennero inquadrate nelle federazioni nazionali costituite per i diversi rami dell’attività economica. Le federazioni aderirono a più ampi organismi di carattere nazionale e cioè alle confederazioni, costituite in corrispondenza delle grandi branche della produzione ed aventi il compito di coordinare l’attività sindacale delle varie federazioni e di esprimere integralmente gli interessi generali delle categorie in esse organizzate:
    Confederazione fascista degli agricoltori cui aderiscono 4 federazioni nazionali;
    Confederazione fascista dei lavoratori dell’agricoltura, cui aderiscono 4 federazioni nazionali;
    Confederazione fascista degli industriali con 45 federazioni;
    Confederazione fascista dei lavoratori dell’industria con 20 federazioni di cui una, quello dello spettacolo, comprende 9 sindacati nazionali;
    Confederazione fascista dei commercianti con 37 federazioni;
    Confederazione fascista dei lavoratori del commercio, con 5 federazioni;
    Confederazione fascista delle aziende di credito e delle assicurazioni, con 13 federazioni;
    Confederazione fascista dei lavoratori del credito e delle assicurazioni, con 4 federazioni;
    Confederazione fascista dei professionisti e artisti con 22 sindacati nazionali.
    A queste si aggiungono inoltre speciali federazioni nazionali di cooperative che aderiscono all’Ente nazionale fascista della cooperazione ed alle confederazioni di imprese similari. Alla periferia, le categorie vennero organizzate in sindacati ed eventualmente in nuclei minori. Dalle confederazioni dipendevano localmente le unioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, che coordinavano l’attività degli organi locali delle federazioni nazionali; per i professionisti e gli artisti vennero costituiti appositi sindacati provinciali. La legge del 5 febbraio 1934 stabilì le 22 corporazioni:
    Cereali, orto-floro-frutticoltura, viti-vinicola e olearia, zootecnia e pesca, legno, tessile, abbigliamento, siderurgia e metallurgia, meccanica, chimica, combustibili liquidi e carburanti, carta e stampa, costruzioni edili, acqua, gas ed elettricità, industrie estrattive, vetro e ceramica, comunicazioni interne, mare e aria, spettacolo, ospitalità, professioni e arti, previdenza e credito.
    All’interno di esse, i sindacati si distribuiscono secondo il ciclo produttivo: ogni corporazione comprende infatti tutti i sindacati di ogni ramo di produzione, andando a formare tre gruppi:
    a) Corporazioni a ciclo produttivo agricolo, industriale e commerciale;
    b) Corporazioni a ciclo produttivo industriale e commerciale;
    c) Corporazioni per le attività produttrici di servizi.
    Il decreto legislativo luogotenenziale del 23 novembre 1944, n. 369 sancirà la soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste e la liquidazione dei rispettivi patrimoni.
    L’attribuzione dei loro patrimoni residui sarà disciplinata dalla legge 18 novembre 1977, n. 902.(fonte)

    [2] Lino Vitale Domeneghini (Carcina, 15 marzo 1899 – Torino, 4 dicembre 1931) è stato un sindacalista e politico italiano.
    Fin dal 1915 partecipa alle manifestazioni del movimento interventista e in coerenza con le sue posizioni appena raggiunta l’età minima si arruola volontario e viene assegnato ad un reparto di fanteria a Lodi. Ansioso di combattere lo abbandona per raggiungere la prima linea, guadagnandosi una medaglia d’argento a Zagora. Catturato dagli austriaci al passo di Zagradan fugge dopo due tentativi andati a vuoto e riesce a tornare in Italia nel 1919. Nominato comandante di un campo di prigionia preferisce partire volontario in Libia, dove viene nominato Segretario capo del tribunale di Tripoli.
    Nel 1922, nuovamente rimpatriato, aderisce al fascismo e inizia a militare nel Fascio di Bergamo. Comandante delle squadre d’azione ha diretto numerose azioni squadriste, specialmente contro i circoli socialisti. L’anno successivo assume la direzione dei sindacati dei lavoratori agricoli del bresciano. Ha successivamente diretto il Sindacato provinciale agricoltori fascisti e ricoperto il ruolo di Ispettore della Federazione provinciale bresciana delle corporazioni sindacali.
    Fatto oggetto di due attentati, muore a soli 31 anni per le conseguenze delle ferite riportate.(fonte)

    [3] Giuseppe Landi. Nacque a Castel San Niccolò, nel Casentino, il 24 maggio 1895, da Oreste, medico condotto, e da Maria Lenci.
    Conseguita la licenza liceale a Firenze, frequentò l’Accademia militare di Modena, da cui uscì con il grado di sottotenente di fanteria. Partecipò alla prima guerra mondiale e fu promosso capitano nel 1916. Decorato di tre medaglie di bronzo al valor militare, nel 1920 fu dichiarato invalido di guerra per le ferite riportate e collocato nel ruolo speciale. Tornato al paese natale, nel 1921 si iscrisse al Partito nazionale fascista (PNF) e fu tra i promotori del movimento fascista nella provincia di Arezzo. Quello stesso anno fondò il fascio di Castel San Niccolò e prese parte alla campagna per le elezioni politiche. Impiegato presso la Cassa nazionale infortuni, nel 1922 il L. si trasferì a Roma e, pochi mesi dopo, a Genova, dove aderì al movimento sindacale fascista dedicandosi all’organizzazione del settore impiegatizio.
    Partecipò alla costituzione di uno dei primi sindacati fascisti della provincia, il sindacato degli impiegati di assicurazione, divenendo poi vicesegretario della corporazione provinciale dell’impiego pubblico e privato.

    Sempre a Genova, nel 1926 assunse la direzione dei sindacati fascisti del commercio e dell’Associazione fascista del pubblico impiego, mentre dal 1927 al 1928 fu dapprima vicesegretario generale dell’Ufficio provinciale dei sindacati fascisti, poi segretario dei sindacati fascisti dell’industria.
    Laureatosi in scienze economiche e commerciali presso l’Università di Genova, nel 1928 fu tra i fondatori del Centro di cultura e propaganda corporativa della città e, in seguito, della connessa scuola sindacale costituita presso l’ateneo genovese, dove tenne corsi sui temi della legislazione del lavoro, della previdenza e dell’assistenza sociale fino al conseguimento della libera docenza in legislazione del lavoro, nel febbraio 1938. Da allora insegnò all’Università di Genova.
    Nel 1929 il L. era stato eletto alla Camera dei deputati e nominato segretario della Federazione nazionale dei sindacati fascisti dei dipendenti da aziende commerciali di deposito e vendita. Da quel momento i suoi incarichi in campo sindacale e corporativo si moltiplicarono.
    Dal 1929 al 1935 fu consigliere tecnico per i sindacati fascisti dei lavoratori alla Conferenza internazionale del lavoro. Dal 1930 fino all’uscita dell’Italia dalla Società delle nazioni, fu membro della Commissione consultiva degli impiegati e del Comitato internazionale di corrispondenza per le assicurazioni sociali, organismi istituiti presso l’Ufficio internazionale del lavoro di Ginevra.
    Ancora più rilevanti furono le funzioni assolte in ambito nazionale. Dal 1930, anno di costituzione, fino al 1936, il L. fu membro del Consiglio nazionale delle corporazioni. In particolare, nel 1930 fece parte della Commissione di studio per la riforma della legislazione del lavoro, presieduta da D. Alfieri, insediata da G. Bottai presso il ministero delle Corporazioni con lo scopo di armonizzare le leggi esistenti con l’ordinamento corporativo. Due anni dopo fu membro della Commissione speciale permanente per la legislazione sul lavoro, l’assistenza, la previdenza sociale e la cooperazione, istituita presso il Consiglio nazionale delle corporazioni e presieduta dal sottosegretario alle Corporazioni B. Biagi, con il compito di dare al Consiglio pareri sulle riforme da apportare alla legislazione sociale e sulle questioni trattate dalla Organizzazione internazionale del lavoro e da altri enti internazionali. In tale veste partecipò tra l’altro allo studio della riforma delle leggi sulla maternità, sulla durata del lavoro, sul lavoro delle donne e dei fanciulli, sul contratto di impiego privato, sul perfezionamento e coordinamento delle leggi sulla previdenza sociale.
    Il 31 dic. 1933 il L. fu nominato commissario e, il successivo 29 luglio 1934, presidente della Confederazione nazionale fascista dei lavoratori del credito e dell’assicurazione, che guidò fino all’ottobre 1941, assumendo nel 1936 anche la direzione del bollettino della Confederazione, Il Lavoro impiegatizio. Nel 1934 divenne inoltre membro del Comitato corporativo centrale e della Corporazione della previdenza e del credito, e in novembre fu nominato presidente del Patronato nazionale per l’assistenza sociale, organo tecnico delle Confederazioni fasciste dei lavoratori per l’applicazione delle leggi sull’assistenza e previdenza sociale.
    L’arrivo del L. a capo della Confederazione dei lavoratori del credito e dell’assicurazione comportò, oltre a un aumento delle iscrizioni, un significativo incremento del settore di studio e documentazione. Di particolare rilievo, e coronato da successo, fu il suo impegno nelle discussioni intorno alla legge di riforma bancaria, varata nel marzo 1936, nell’intento di scongiurare la possibilità che gli istituti di diritto pubblico fossero sottratti all’organizzazione sindacale. Con specifici provvedimenti legislativi emessi tra il 1937 e il 1938 fu infatti abolito il divieto di far parte di associazioni sindacali, originariamente stabilito per i lavoratori delle banche di diritto pubblico. Alla guida del Patronato nazionale per l’assistenza sociale, il L. promosse lo sviluppo organizzativo e territoriale dell’ente sulla base del nuovo statuto approvato nel luglio 1935, provvedendo tra l’altro all’istituzione di nuovi uffici nelle colonie.
    In questi anni egli fu autore di numerosi contributi sui temi del sindacalismo e corporativismo fascista, della legislazione del lavoro, dell’assistenza e della previdenza sociale, apparsi su giornali e riviste, tra cui Il Lavoro fascistaRivista del lavoroL’Assistenza socialeIl Lavoratore del commercio e il citato Lavoro impiegatizio. Inoltre, su questi stessi argomenti, dal 1936 tenne varie “radioconversazioni”, molte delle quali nella rubrica “I dieci minuti del lavoratore”, i cui testi furono pubblicati nel Lavoro fascista.
    Rieletto deputato nel 1934, nel 1939 il L. divenne consigliere nazionale alla Camera dei fasci e delle corporazioni. Il 31 ott. 1941 successe a P. Capoferri alla presidenza della Confederazione nazionale fascista dei lavoratori dell’industria (CFLI), assumendo contestualmente la direzione della Rivista del lavoro, periodico della Confederazione, fondato nel 1932 da Biagi e sospeso durante la presidenza di Capoferri.
    Il L. si trovò a dirigere la principale confederazione sindacale nel difficile periodo della guerra e della successiva crisi del regime. In un primo tempo egli riordinò la CFLI, ampliandone la struttura al centro e in periferia e promuovendo un rinnovamento dei quadri direttivi, e tentò di contrastare il problema del crescente aumento del costo della vita, richiedendo più efficaci controlli sul blocco dei prezzi. Di fronte poi alla questione dell’invio dei lavoratori italiani in Germania, fece in modo di assicurare la partenza di personale qualificato, al fine di garantire l’arrivo degli aiuti promessi in cambio dall’alleato tedesco. La situazione alimentare si aggravò nel corso del 1942, mentre tardavano a divenire effettivi i provvedimenti promessi per contrastare il peggioramento delle condizioni di vita degli operai. Con il passare dei mesi tra i lavoratori crebbero la stanchezza e il malcontento, mentre la stessa organizzazione sindacale veniva investita da una profonda crisi.
    Si giunse così agli scioperi del marzo-aprile 1943, le cui conseguenze ricaddero anche sul presidente della Confederazione. In maggio, infatti, immediatamente dopo le manifestazioni operaie, il L. fu allontanato dalla CFLI e destinato all’incarico secondario di presidente dell’Azienda ligniti italiane, che mantenne fino all’aprile 1944, quando fu sostituito non essendosi trasferito al Nord nel territorio soggetto alla Repubblica sociale italiana.
    Dopo la caduta del fascismo, il L. aveva tentato di mettersi in contatto sia con ambienti antifascisti sia con ambienti del governo Badoglio, nell’intento di continuare a svolgere il suo impegno in campo sindacale anche in un diverso quadro politico. Dopo l’8 settembre tali contatti si arrestarono e il L. fu chiamato dal segretario A. Pavolini a collaborare al settore sindacale del neocostituito Partito fascista repubblicano. Tuttavia le sue richieste di ridare al sindacato vitalità e funzioni politiche non furono accolte ed egli non ebbe mai il ventilato incarico. Rimandato fino al maggio 1944 il trasferimento in Toscana, il L. decise infine di non aderire alla Repubblica sociale italiana (RSI) e attese a Roma l’arrivo degli alleati.

    Nel dopoguerra il L. si impegnò per incoraggiare la ripresa dell’attività da parte di coloro che avevano lavorato nelle organizzazioni sindacali durante il regime fascista. Fu infatti tra i promotori del Movimento sindacalista (Mo. Si.), raggruppamento di sindacalisti ex fascisti, costituitosi ufficialmente nel novembre 1947, ma le cui linee d’ispirazione avevano già trovato espressione nelle pagine del giornale Vita del lavoro, fondato circa un anno prima, di cui il L. fu collaboratore di primo piano. Fallita l’ipotesi di confluenza del Mo. Si. nella Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) unitaria, nel marzo 1950 il L. fu tra i fondatori della Confederazione italiana sindacati nazionali dei lavoratori (CISNAL), di cui fu segretario generale dalla costituzione.
    Collaboratore di Lotta politica e del Secolo d’Italia, giornali del Movimento sociale italiano (MSI), dal 1954 il L. entrò a far parte della direzione nazionale del partito. Nel 1956 fu eletto al Consiglio comunale di Roma nelle liste del MSI. Il L. morì a Roma il 6 giugno 1964.