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Vittorio Bosotto, 1943

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    « di 4 »

    Liebe Mariantonietta,

    Ti scriverò anche oggi tremolante:
    è pomeriggio, dicembre 16[1], e mi sono cacciato
    a letto perché la scrivania e ingombra
    dei libri che ò intenzione di portare via.
    Sì, è venuto l’ordine di partenza. Il
    giorno è fissato è il 18 – suppongo che
    se anche non si partirà proprio il 18,
    ce la sbrigheremo probabilmente in uno
    dei giorni successivi. Comunque, ti scrivo
    ancora queste poche righe di saluto.
    Nella mia cameretta, del resto abbastanza
    graziosa e pulitissima, si è oltre alla
    scrivania, un altro tavolinetto, ma
    piuttosto basso, adatto più per
    prendere il tè che per scrivere.
    Ecco perché scrivo da letto: vorrai
    quindi scusare la brutta calligrafia.

    La tua dell’8 spedita da Venezia, mi è piaciuta ieri, mentre
    stamane ò ricevuto la precedente del 6,
    spedita da Onè. Non sono pericolose queste gite a
    Venezia[2], con la luna (e un cavaliere almeno)?
    Oggi non posso intrattenermi a
    conversare a lungo con te, per via
    della prossima partenza.
    Lascio un po’ di libri qua a Roma
    e li devo portare da un collega.
    Inoltre, dopo il fiasco della signora
    che mi doveva sostituire al CISP (ài
    avuto la mia precedente lettera che
    ti parlava anche di questo?) ò offerto
    il posto a un collega, il quale, poverino,
    mi sembra proprio, con mia grande
    sorpresa, un pesce fuor d’acqua.

    Adesso andrò appunto al CISP con
    grande anticipo sul mio orario, per
    erudirlo un po’.
    Io con il “vecchio prete”, mi sono
    affiatato benissimo e vorrei quasi
    dire, se non fosse irriverente, che
    siamo diventati amiconi.
    A proposito, questa mattina sono
    stato all’Ismeo a restituire dei libri.
    Chi vi ò trovato? Cin! Cosa faceva?
    Dovresti indovinarlo. Ci sei arrivata?
    Leggeva la voce “Stati Uniti” dell’En=
    ciclopedia Treccani. Siccome lo stesso
    faceva l’anno scorso, a quest’ora
    dovrebbe saperla a memoria. Non ti pare?

    È rimasto malaccio (almeno ò avuto
    questa impressione) quando gli ò detto
    che partivo per l’alta Italia. Forse lo
    preoccupava il pensiero di restare
    senza allievi, almeno per il secondo anno.
    All’uscita, poi, ò visto da lontano
    chi? Yau! Non me la sono sentita,
    però, di corrergli incontro. Lui penserai,
    quindi, se non gli ò fatto i saluti
    di cui mi avevi incaricato tempo fa.
    Dunque, incidenti di viaggio permettendolo,
    dovrei essere presto a Venezia, ove spero
    di poterli rivedere. E ai tuoi “ordini”
    (caspita, quanta accondiscendenza, oggi! Cancello
    “ordini”), rettific! A tua disposizione per lo
    “sfruttamento”. Seppun, seppun, seppun ant
    das ganze gesicht.           Oui Vitt.

    Ultimo commento che mi è sfuggito nella precedente
    lettera: Tu saresti “refrattaria all’innamoramento”?
    Ah, A h, Ah – ciao.

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    Signa Maria Antonietta Basile[3]
    Villa Caron
    (Treviso) Onè di Fonte

    Bosotto
    ENIT[4]
    Roma

    16.12.43
    20.12.13

    TREVISO ESPRESSO


    Note

    [1] Il rastrellamento del ghetto di Roma fu una retata effettuata da truppe tedesche appartenenti alle SS o alla polizia d’ordine (Ordnungspolizei), con la collaborazione dei funzionari del regime fascista della Repubblica Sociale Italiana tra le ore 05:30 e le ore 14:00 di sabato 16 ottobre 1943 (da cui il ricordo di questo giorno come Sabato nero), che portò all’arresto di 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine, quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica romana. Gli arresti vennero attuati principalmente in via del Portico d’Ottavia e nelle strade adiacenti ma anche in altre differenti zone della città di Roma.

    Dopo il rilascio di un certo numero di componenti di famiglie di sangue misto (mischlinge) o stranieri, 1023 rastrellati furono deportati direttamente al campo di sterminio di Auschwitz. Soltanto 16 di loro sopravvissero (15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino morta nel 2000).(fonte)

    [2] Venezia. L’annuncio dell’armistizio pronunciato da Badoglio l’8 settembre del 1943 provocò un’immediata reazione dei tedeschi, che già il 9 occuparono militarmente la città, mentre colse del tutto impreparati soldati ed ufficiali delle diverse caserme della città, lasciati completamente senza ordini.

    A fronte dello sfascio dell’esercito vi fu da parte della popolazione un moto spontaneo e diffuso di appoggio e di solidarietà verso i prigionieri ed una prima forma – prepolitica e trasversale – di reazione alla prepotenza dell’occupante. Ai soldati in fuga in questa prima fase gli abitanti di Mestre e dei dintorni offrirono soprattutto abiti civili, cibo ed indicazioni per raggiungere le località di provenienza evitando le strade principali controllate dalle truppe tedesche.

    In queste prime settimane, mentre il partito fascista e la Repubblica di Salò si andavano ancora ricostituendo, alcuni elementi attivi dell’antifascismo mestrino, che poi comanderanno le formazioni partigiane, si mobilitarono per organizzare il recupero delle armi sottraendole ai tedeschi in vista di una lotta armata e per estendere e rinsaldare i rapporti con gli operai della zona industriale di Marghera che consideravano come principale componente di un movimento di resistenza al nazifascismo.

    Il regime poteva essere stato visto con benevolenza da quegli operai per i quali il lavoro in fabbrica aveva rappresentato una via d’uscita dalla miseria di un’agricoltura, in cui prevalevano i piccolissimi appezzamenti in proprietà o in affitto. Ma la guerra e la sua evoluzione avevano fatto precipitare quel consenso che aveva avuto con la guerra d’Etiopia il suo apice. Il clima di sfiducia e di malcontento avevano creato uno stato d’animo di disponibilità ed apertura alle proposte degli oppositori del regime che rispondevano al desiderio di porre fine alla guerra e alla speranza di costruire una società più giusta. Già prima dell’armistizio alcuni operai, in fabbriche come la Breda, si dichiaravano apertamente antifascisti; altri maturarono già in quell’autunno nel 1943 la loro adesione a questo embrionale movimento di Liberazione.(fonte)

    [3] Maria Antonietta Basile, moglie di  Luigi Marziani (Senigallia, 26 agosto 1900  – Roma 16 agosto 1977) Odontoiatra. Esperto in Chirurgia orale, di fama internazionale per aver sperimentato il primo impianto sottoperiosteo a griglia di Tantalio.(fonte)

    [4] L’ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo, che ha mantenuto il nome breve ENIT dell’Ente Nazionale italiano per il turismo, suo predecessore, è un ente pubblico economico italiano che opera nella promozione dell’offerta turistica dell’Italia.
    Nasce nel 1919, sotto il governo liberal-radicale di Francesco Saverio Nitti, con la denominazione di Ente Nazionale per l’incremento delle Industrie Turistiche. A seguito della trasformazione disposta con norma del 2005 l’ENIT-Agenzia nazionale italiana del turismo è subentrata con accresciute e più articolate responsabilità istituzionali ad una quasi centennale attività dell’Ente nazionale italiano per il turismo. (fonte)