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Marani Girolamo, 1874

    Marani Girolamo, 1874
    Marani Girolamo, 1874
    « di 2 »

    Carissimo Francesco

    Non potendo io venirci al Paese per
    il noto incomodo che mi ha gonfia tut=
    ta la faccia, desidererei di avere
    due righe che mi indicassero il
    risultato dell’incarico che vi siete
    preso di trattare coi due noti
    birbanti; già andiamo a gran pas=
    si al Brigantaggio[1], ove la giusti=
    zia riesce impotente contro il
    raggiro e l’inganno.
    Vi saluto e mi dico
    Vostro Devotissimo Amico Sig.
    Marani Girolamo
    Da Lugo[2] 6. Luglio 1874.

    retro

    Questa lettera al Cognato;
    Per avere il Marani Violato
    il Domicilio dei Bengento,

    Come dice lui, ed accusato
    di furto di frumento in campagna
    e nulla trovato al domicilio


    Note

    [1] Tra le esperienze relative alle ultime manifestazioni del brigantaggio nella Romagna è da citare la storia degli accoltellatori di Ravenna. Tredici crimini violenti, otto decessi, sei feriti, oltre cento coltellate inflitte, un’unica firma: quella della setta degli aguzzini di Ravenna. L’attività criminale si svolse tra il periodo compreso tra il 1865 e il 1871 e raggiunse il suo culmine nel processo del 1874, che ottenne un’ampia eco nazionale e si svolse nella città stessa. I 23 presunti membri degli aguzzini furono quasi tutti condannati. Tutto ebbe inizio a Ravenna una sera del 1865, in via delle Melarance (oggi via Mentana), dove spesso si riunivano individui ubriachi che affogavano le loro amarezze sulla mancanza di lavoro e sulle incertezze del futuro nel vino dell’Osteria della Grotta. Tra di loro vi erano molti ex combattenti garibaldini, alcuni dei quali avevano partecipato all’impresa dei Mille. Essi si sentivano delusi dall’Italia unita, ma di indirizzo monarchico. La monarchia rappresentava una realtà amara che non riuscivano ad accettare. Nelle taverne, incitavano alla ribellione sostenendo che il Risorgimento era stato tradito e decisero di impartire una lezione a quegli “sfruttatori” che si arricchivano a spese dei poveri. Dicevano che bisognava colpirne uno per educarne cento. La prima vittima fu il direttore della Banca Nazionale di Ravenna, e successivamente, dopo una serie di attacchi con il coltello romagnolo a lama diritta micidiale noto come saracca, si ebbe la prima vittima, il procuratore del re. Gli ambienti repubblicani furono perquisiti e gli arresti divennero frequenti. La fine della banda avvenne grazie alla denuncia di un informatore, un collaboratore pentito potremmo dire oggi. In quei tempi, la Romagna era una terra di gruppi ribelli e indomabili, in cui le passioni politiche erano molto intense. La difesa dell’onore era un valore tenuto in grande considerazione anche tra il popolo, in cui il senso di superiorità dipendeva dalla capacità di duellare. Tratto quotidiano “La Voce di Romagna” n del 12 maggio 2014

    [2] Lugo è situata nel settore nord-occidentale dell’ampia pianura alluvionale che circonda Ravenna, fra i fiumi Santerno e Senio. Il territorio comunale è attraversato da una fitta rete di canali, fra i quali il canale dei Molini di Castel Bolognese, che hanno modellato queste terre, un tempo allagate, attraverso la bonifica.
    L’11-12 marzo 1860 si tenne nelle ex Legazioni pontificie il plebiscito di annessione al Regno di Sardegna. Il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia. Nel 1866 450 lughesi parteciparono come volontari alla terza guerra d’indipendenza, l’anno dopo in 200 seguono Garibaldi nella campagna dell’Agro romano che terminò tragicamente a Mentana. Vi morirono due lughesi: il conte Giulio Bolis e Francesco Bosi.
    La nota «Inchiesta Agraria Jacini» (1871) tracciò un quadro della gestione del territorio di Lugo negli anni immediatamente successivi alla nascita del Regno d’Italia. L’economia lughese non aveva subito grandi variazioni. L’occupazione principale continuava ad essere l’agricoltura:
    I braccianti a ore ricevevano un salario giornaliero di 1 lira/1,5 lire
    I coltivatori diretti prendevano la terra in affitto a 120-180 lire/ettaro. La rendita oscillava fra le 132 e le 198 lire/ettaro.
    I piccoli proprietari, una minoranza della popolazione, possedevano in media 10-12 ettari di terra.
    Il terreno era coltivato soprattutto a cereali. La frutticoltura era ancora di là da venire: su 11.000 ettari coltivabili, solo 16 erano destinati ad alberi da frutta. La canapa occupava il 5% della superficie. Nel 1869 la produzione di baco da seta era di 582 quintali (dieci anni più tardi aumentarono a 1.243).Nel circondario lughese si contavano circa 18 000 bovini. Lugo si qualificava all’epoca soprattutto come grande emporio, in virtù del tradizionale mercato del mercoledì (in essere fin dal Medioevo), che col tempo aveva acquisito una dimensione sovraregionale.

    Il messaggio è indirizzato al sindaco di Fabbrico Bellesia cognato di Marani (approfondisci). Fabbrico. Il comune, situato nella pianura Padana, dista 27 km da Reggio Emilia. Il territorio comunale è formato, oltre che dal capoluogo, dalle località di Ponte Bisciolino, Rifugio, Quattro Formagge, San Genesio per un totale di 23 chilometri quadrati. Fabbrico confina a nord col comune di Reggiolo, ad est col comune di Rolo e con quello modenese di Carpi, a sud con quello di Rio Saliceto e ad ovest con Campagnola Emilia.(fonte)