È la mia vita un cielo coperto
Da cupi nembi, un cielo nero
Come coscienza ravvolta
Ne la colpevoli tenebre,
Se con la luce degli occhi tuoi belli
Non sveli e molci gli orridi squarci
Del mio essere scabro
Che sa dei venti l’insidia
E l’urlo lugubre giù nei dirupi
Insinuantesi come biscia
Fra i melmosi meandri
D’aque di sonno gravide.
Fanciulla, accogli nel casto tuo grembo
L’amore mio ; come madonna
Volgi il pietoso ciglio
Al mio affannoso procedere.
Che non somigli d’efemera al breve
Volo diurno la mia vita ;
Né sia sospiro di foglie
Del vento freddo a l’alito !
Sii tu la pura sorgiva sgorgata
Per rinfrescare l’arida roccia,
Sii tu la vergine terra
Ch’ Anteo prostrato fe’ sorgere.
Ch’ io dal tuo labbro, ardente d’amore,
Sugga la linfa che rinverdisce,
Ch’ io al tuo fianco m’avanzi,
Tenendo il fato a ludibrio.
Frangi il glaciale sepolcro che pesa
Su l’età mia, sul mio destino :
Dona la vita a chi muore.
Al tuo cenno ieratico,
Da la cruenta arena del circo
Io mi sollevi nuovo di forze,
E pe’ tuoi occhi combatta,
E pe’ ‘l tuo cuore che trepida.
Sorgi, ch’ è tempo, o spirato gemello,
Terra promessa né più sperata.
Sorgi e ravviva la fiamma
Che lambe e trema già etica.
Giorgio Carpaneto[1]
Roma, 1943
Note
In quei giorni…
Il proclama di armistizio di Badoglio dell’8 settembre 1943 è l’annuncio dell’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile firmato il giorno 3 dal governo Badoglio I del Regno d’Italia con gli Alleati della seconda guerra mondiale, trasmesso al popolo italiano con un messaggio letto dal maresciallo Pietro Badoglio (capo del governo e maresciallo d’Italia) alle 19:42 al microfono dell’EIAR.
Dal 3 all’8 settembre
Dopo la sigla dell’armistizio di Cassibile il 3 settembre, Badoglio riunì il governo solo per annunciare che le trattative per la resa erano “iniziate”. Gli Alleati, da parte loro, fecero pressioni sullo stesso Badoglio affinché rendesse pubblico il passaggio di campo dell’Italia, ma il maresciallo tergiversò. Gli anglo-americani così proseguirono con le azioni di guerra e gli aerei continuarono a bombardare le città della penisola. Nei giorni dal 5 al 7 settembre i bombardamenti furono intensi: oltre 130 bombardieri B-17 colpirono Civitavecchia e Viterbo. Il 6 fu la volta di Napoli. Perdurando l’incertezza da parte italiana, gli Alleati decisero di annunciare autonomamente l’avvenuto armistizio: mercoledì 8 settembre, alle 17:30 nel Regno Unito (le 18:30 in Italia), il generale Dwight D. Eisenhower lesse il proclama ai microfoni di Radio Algeri. Poco più di un’ora dopo, Badoglio fece il suo annuncio da Roma.
Il proclama letto alla radio
«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.»
( Badoglio annuncia l’armistizio dell’Italia, in La Repubblica, 7 settembre 2013. URL consultato l’8 settembre 2013.)
La fuga di Vittorio Emanuele III e la nascita del Regno del Sud
La fuga di Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto, dei vertici militari e del capo del governo Pietro Badoglio, dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, nonché la confusione, provocata soprattutto dall’utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più invece erroneamente interpretata come indicazione della fine della guerra, generarono ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano: lasciate senza precisi ordini, andarono allo sbando. Nelle settimane immediatamente successive, 815 000 soldati italiani vennero catturati dall’esercito tedesco e destinati a diversi lager con la qualifica di I.M.I., Internati militari italiani.
Più della metà dei soldati in servizio nella penisola abbandonarono le armi e tornarono alle loro case in abiti civili. La ritorsione da parte degli ormai ex-alleati tedeschi, i cui alti comandi, come quelli italiani, avevano appreso la notizia dalle intercettazioni del messaggio radio di Eisenhower, non si fece attendere: fu immediatamente messa in atto l’operazione Achse (“Asse”), ovvero l’occupazione militare di tutta la penisola italiana, e il 9 settembre fu affondata la nave da battaglia Roma, alla quale nella notte precedente era stato ordinato, assieme a tutta la flotta della Regia Marina, di far rotta verso Malta in ottemperanza alle clausole armistiziali anziché, come precedentemente stabilito, attaccare gli Alleati impegnati nello sbarco di Salerno.
Nelle stesse ore una piccola parte delle forze armate rimase fedele al re Vittorio Emanuele III, come la 33ª Divisione fanteria “Acqui” sull’isola di Cefalonia, dove fu annientata nell’eccidio di Cefalonia; una parte di loro si diede alla macchia e alcuni di questi diede vita alle prime formazioni partigiane, come la Brigata Maiella; altri reparti ancora, soprattutto al nord, come la Xª Flottiglia MAS e la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, scelsero di rimanere fedeli al vecchio alleato e al fascismo. Nonostante il proclama di Badoglio, gli Alleati si opposero ad una massiccia e immediata scarcerazione dei prigionieri di guerra italiani.
Ai militari allo sbando dopo l’8 settembre, i quali si ripresentarono a fine guerra ai rispettivi comandi per sistemare la propria carriera interrotta e anche recuperare gli arretrati di paga, venne richiesto di compilare un questionario di ben 97 domande, atto a definirne la posizione disciplinare e amministrativa.
Il dibattito sull’8 settembre come “morte della patria”
Il giurista e scrittore Salvatore Satta, nel suo libro di riflessioni De profundis del 1948, definì l’8 settembre la “morte della patria”, con riferimento all’implosione dell’intero apparato statale costruito dopo il Risorgimento, aggiungendo che «la morte della patria è certamente l’avvenimento più grandioso che possa occorrere nella vita dell’individuo».
L’espressione fu riscoperta da Ernesto Galli della Loggia in un convegno del 1993 e ripresa da Renzo De Felice nel libro-intervista Il Rosso e il Nero del 1995. Entrambi questi storici hanno sostenuto che il Risorgimento avesse creato un sentimento nazionale italiano che, crollato l’8 settembre, non è più rinato.
Galli della Loggia ha addirittura intitolato un suo libro del 1996 La morte della patria, facendo di questa tesi l’argomento dell’intero libro. Ha in particolare approfondito come la Resistenza non abbia potuto creare un nuovo sentimento nazionale perché era divisa fra più “anime”, alcune delle quali di sentimenti più internazionalisti, se non addirittura contrari agli interessi nazionali (con riferimento al fatto che il PCI sostenesse le rivendicazioni jugoslave in Venezia Giulia).
Questo libro scatenò inevitabilmente una discussione, in cui storici e politici vicini alla Resistenza criticarono la tesi della “morte della patria”. Fra gli storici si possono citare Claudio Pavone (Una guerra civile, 1991) e Nicola Tranfaglia. Sulla questione prese la parola anche il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nel 2001 al ritorno da Cefalonia dove aveva commemorato i caduti della Divisione “Acqui”. Tutti costoro hanno sostenuto che la Resistenza e la Costituzione hanno efficacemente fatto rinascere un sentimento nazionale italiano.(fonte)
[1] Giorgio Carpaneto (Roma, 27 giugno 1923 – Roma, 31 luglio 2009) è stato un poeta e scrittore italiano, professore di lingua e letteratura italiana e latina nei licei di Stato. Profondo conoscitore di “cose romane” e studioso del dialetto romanesco, ha anche firmato alcune opere con lo pseudonimo di Carpaggio.
Biografia
Iscritto all’albo dei giornalisti dal 1960, Giorgio Carpaneto, parallelamente all’attività di docente, ha collaborato per anni ai quotidiani Momento Sera, l’Adige, La Prealpina, Il Corriere del Giorno di Taranto e altri.
Socio della “Associazione fra i Romani”, ha condotto per vent’anni a Teletevere – espressione dell’associazione stessa – rubriche settimanali culturali tra le quali Biblioteca aperta, Polvere di Storia, Musei in casa, Roma nel tempo. È stato anche redattore-capo de Il giornale di Teletevere. Dopo il passaggio di proprietà dell’emittente romana (1995), ha partecipato a trasmissioni a Telelazio, Rete blu, Telesalute, Televita, alla Radio Vaticana e alla RAI (Radio anch’io, Il mare, Via dei Fori Imperiali, La domenica, ecc.).
Per anni è stato presidente dell’associazione di cultura romana “Te Roma Sequor”; dell’associazione “Amici di Righetto per gli studi sulla Repubblica Romana del 1849”; vice presidente dell’”Associazione nazionale poeti e scrittori dialettali” e socio onorario del “Centro romanesco Trilussa”. È stato fondatore della rivista Voce romana e – dopo la scomparsa di Fortunato Lay – direttore responsabile del periodico Rugantino. Docente di dialettologia nell’Università 2000; ha fondato le riviste Palatino, L’acquedotto romano e la compagnia teatrale “I Carpaggini” di alunni liceali con rappresentazioni di opere del Goldoni e di autori greci e latini al Teatro Rossini e al teatro romano di Ostia antica.
L’opera
Autore di una serie numerosa di libri su Roma e la romanità (I vicoli di Roma, I Palazzi di Roma, Le famiglie nobili romane, I quartieri di Roma, La grande guida dei Rioni di Roma, Villa Borghese), sulla lingua italiana (L’Italia dei dialetti), sul dialetto romanesco (Dizionario italiano-romanesco), di raccolte di poesie in lingua (Foglia su foglia, L’attesa, Rotaia interrata) e in dialetto (L’autobbusse perzo, Er tempo e l’omo, Sempre li stessi l’ommini), di saggi storici e aneddotici (Gli animali in Trilussa), Giorgio Carpaneto ha lasciato il segno della sua eccezionale erudizione nella Roma della seconda metà del Novecento e del primo decennio del ventunesimo secolo. Giorgio Carpaneto (Roma, 27 giugno 1923 – Roma, 31 luglio 2009) è stato un poeta e scrittore italiano, professore di lingua e letteratura italiana e latina nei licei di Stato. Profondo conoscitore di “cose romane” e studioso del dialetto romanesco, ha anche firmato alcune opere con lo pseudonimo di Carpaggio.
Biografia
Iscritto all’albo dei giornalisti dal 1960, Giorgio Carpaneto, parallelamente all’attività di docente, ha collaborato per anni ai quotidiani Momento Sera, l’Adige, La Prealpina, Il Corriere del Giorno di Taranto e altri.
Socio della “Associazione fra i Romani”, ha condotto per vent’anni a Teletevere – espressione dell’associazione stessa – rubriche settimanali culturali tra le quali Biblioteca aperta, Polvere di Storia, Musei in casa, Roma nel tempo. È stato anche redattore-capo de Il giornale di Teletevere. Dopo il passaggio di proprietà dell’emittente romana (1995), ha partecipato a trasmissioni a Telelazio, Rete blu, Telesalute, Televita, alla Radio Vaticana e alla RAI (Radio anch’io, Il mare, Via dei Fori Imperiali, La domenica, ecc.).
Per anni è stato presidente dell’associazione di cultura romana “Te Roma Sequor”; dell’associazione “Amici di Righetto per gli studi sulla Repubblica Romana del 1849”; vice presidente dell’”Associazione nazionale poeti e scrittori dialettali” e socio onorario del “Centro romanesco Trilussa”. È stato fondatore della rivista Voce romana e – dopo la scomparsa di Fortunato Lay – direttore responsabile del periodico Rugantino. Docente di dialettologia nell’Università 2000; ha fondato le riviste Palatino, L’acquedotto romano e la compagnia teatrale “I Carpaggini” di alunni liceali con rappresentazioni di opere del Goldoni e di autori greci e latini al Teatro Rossini e al teatro romano di Ostia antica.
L’opera
Autore di una serie numerosa di libri su Roma e la romanità (I vicoli di Roma, I Palazzi di Roma, Le famiglie nobili romane, I quartieri di Roma, La grande guida dei Rioni di Roma, Villa Borghese), sulla lingua italiana (L’Italia dei dialetti), sul dialetto romanesco (Dizionario italiano-romanesco), di raccolte di poesie in lingua (Foglia su foglia, L’attesa, Rotaia interrata) e in dialetto (L’autobbusse perzo, Er tempo e l’omo, Sempre li stessi l’ommini), di saggi storici e aneddotici (Gli animali in Trilussa), Giorgio Carpaneto ha lasciato il segno della sua eccezionale erudizione nella Roma della seconda metà del Novecento e del primo decennio del ventunesimo secolo.(fonte)
“VOCE ROMANA”, rivista bimestrale di cultura, poesia, dialetto, arte e tradizioni popolari.
Una antica rivista dal nome Voce Romana era stata fondata nel 1928 da Armando Volpi, durata forse fino al 1930, della quale esistono poche tracce. La nuova Voce Romana viene ideata dal prof. Giorgio Carpaneto, insigne studioso di cose romane, docente, saggista, giornalista, poeta, nel 1996. L’editore viene trovato in Luciano Pasquali (System Graphic), anche lui appassionato di Romanità. Il primo numero esce nelle edicole di Roma e provincia il 4 febbraio 1997, con adeguata presentazione alla Protomoteca in Campidoglio, come quindicinale, in formato A3, otto pagine a due colori, sotto la direzione di Carpaneto. Il giornale, scritto sia in lingua che in dialetto romano, viene definito dal Direttore come “la voce de li scontenti e de chi ama Roma”. In effetti, a cominciare dall’editoriale, Voce Romana ironizza sui politici di turno, mettendo in risalto le loro magagne con le gustose vignette del musicista e poeta Fernando Di Stefano; tratta dei problemi cittadini, dell’uso del dialetto, della conservazione della tradizione, della storia romana e quant’altro riguardi la cultura nostra. Vi collaborano i più noti scrittori e poeti romani. Nel dicembre ’97 il giornale diviene mensile e cambia formato in A4 con 16 pagine. Nel settembre 2001 diventa organo dell’Associazione culturale Voce Romana, con 20 pagine b/n e la testata si trasforma in Voce Romana 2000. Si interrompe nell’agosto 2009 per la scomparsa del suo creatore e direttore. Vi hanno scritto studiosi della romanità, insigni letterati, storici, archeologi, giornalisti, urbanisti ecc. Ne è stato redattore capo Sandro Bari, che ha seguito fedelmente Giorgio Carpaneto con la sua rivista fin dalla nascita.
L’editore Luciano Lucarini, legato a Carpaneto da antica amicizia, decide di rilevare la testata ed esce con la nuova Voce Romana nel novembre 2009, per le edizioni Pagine. La rivista è da allora bimestrale, formato A4 con stampa in color seppia, 64 pagine con copertina in cartoncino a colori. Si avvale anche stavolta dei più stimati studiosi di cose romane e annovera tra i suoi collaboratori docenti, critici, saggisti che la nobilitano con le loro pubblicazioni. La direzione è stata affidata a Sandro Bari, coadiuvato dal vice direttore Francesca Di Castro, ambedue membri del Gruppo dei Romanisti. Viene così mantenuta una continuità storica ed affettiva con la precedente edizione e con l’indimenticato fondatore.(fonte)