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Garibaldi arrestato. 1867

    Garibaldi arrestato, 1867
    Garibaldi arrestato, 1867

    Guastalla addì 25 settembre 1867

    Riservata

    Perché la S. V. Ill.ma voglia all’uopo provvedere di conformità alle preposizioni contenutevi, cui affretto a comunicarle i seguenti telegrammi provenienti l’uno dal Ministero Interni, dalla Prefettura di Reggio l’altro Prefetti sotto Prefetti Regno.

    Garibaldi stato arrestato scorsa notte (23 a Sinalunga)[1]  prevenga seriamente qualunque agitazione e disordine che si volesse suscitare col pretesto di questo provvedimento.

    f o. Monzani[2] 
    sotto prefetto di Guastalla

    Ai signori Sindaci del circondario
    Si impedisca occorrendo anche all’uopo della forza partenza volontari per Firenze

    Il Prefetto
    f o. Albenga

    Il Delegato Capo
    P Sotiò


    Note

    Per completare il quadro informativo della storia familiare dalla quale proviene il documento specifichiamo che si tratta della famiglia Bellesia, originaria di Guastalla.

    Or questa gita di Arezzo era per Garibaldi uno stratagemma inteso a dare il cambio al governo sulla vera direzione de suoi passi Di là infatti egli spediva i suoi bauli alla stazione di Perugia, volendo con ciò dare a credere ch’egli fosse per muovere verso quella città e richiamar da quella parte l’attenzione delle autorità che lo vigilavano mentre intanto si disponeva a partire per Sinalunga diretto ad Orvieto luogo affatto prossimo a quella parte dell’agro viterbese che pareva la più disposta a sollevarsi. La sera medesima di quel giorno, 23, presa la via rotabile partiva egli difatti a questa volta in compagnia del maggiore Del Vecchio del segretario Basso e del confidente Maurizio. Ma i segugi del governo con vigile zelo avevano già fiutato i suoi passi e le intenzioni sue. ll prefetto di Perugia, Gadda, venuto a Firenze a prendere le ultime istruzioni del ministero, ne era partito poco prima di Garibaldi ed era corso innanzi a predisporre le proprie misure, Una compagnia di fanti era stata inviata alla stazione di Passignano, per attendervi il generale, quando si avviasse a Perugia per la ferrovia: un distaccamento di cavalli approntato per movergli incontro, se fosse venuto per la via rotabile di Chiusi: infine, dell’altra truppa destinata a guardar la strada di Orvieto, prevedendo la possibile diversione. Cosi d ogni parte i varchi erano chiusi, e impedita la fuga per vie traverse. Pur tuttavia, quando il prefetto Gadda seppe della partenza di Garibaldi da Arezzo, per Orvieto, non si fidò ad aspettare che Garibaldi arrivasse fin là: ma telegrafò immantinente al ministero, che lo autorizzò ad eseguire senza altro l arresto in Sinalunga, cinquanta miglia al di quà della frontiera. La mattina infatti del 24, una compagnia del 37°, partita in tutta fretta da Orvieto in sulla sera, entrava in Sinalunga, circuendovi la casa Agnolucci, dove il generale, giunto da poco, s’era recato a pernottare.

    Il generale, dimorava al primo piano. Un luogotenente dei carabinieri salì da lui, e lo trovò ancora a letto, che s’apprestava al solito bagno. Senz’altro dire gli presentò un ordine d arresto firmato Scoppa1: al che il generale, come uomo a cui quella visita non riusciva per nulla inaspettata, tranquillamente rispose: Mi concederete almeno di fare il bagno. – Gli fu concessa una mezz’ora.

    Frattanto la popolazione, destata a rumore da quello improvviso apparato di forze, traeva verso la casa del generale, vociferando e gridando: Roma! Erano in sulla piazza una cinquantina di soldati, distesi in cordone alla distanza di venti a trenta metri dalla casa; altri in pelottone ritenevano prigioni pochi volontarj del sito, i quali per lo arrivo del generale avevano indossato la camicia rossa, e montata alla sua casa una guardia d onore. Pietro Del Vecchio, il fido segretario dell’eroe accorse dalla casa vicina, e trovò il generale che calmo e mesto salutava gli amici, i quali i commossi piangevano.

    Non erano ancora scoccate le sei antimeridiane, quando Garibaldi, in compagnia di Basso, di Del Vecchio, e dell ingegnere Barborini, salì in un biroccino che lo doveva condurre alla vicina

    stazione di Lucignano, appiè della collina. Carabinieri e soldati davanti e di dietro facevano scorta alla vettura. A Lucignano il generale montò co’suoi amici in uno stesso vagone, avviato dicevasi a Firenze: ma giunti, dopo ordini e contro ordini, e parecchie fermate, a Sesto, venne ordine indi a pochi minuti di proseguir per Pistoia. Ivi ai compagni del generale venne fatto invito di andarsene, e Garibaldi proseguì solo il viaggio per Alessandria. Ma a Pistoja, prima di congedarsi dagli amici, egli ebbe tempo di consegnare al Del Vecchio, perché le pubblicasse nei fogli della penisola, queste poche righe, scritte alla matita fra Signa e San Donnino, e ritraenti la concitazione febbrile dell’animo dell’eroe:

    « 24 settembre I Romani hanno il diritto degli schiavì insorgere contro i loro tiranni: i preti.
    « Gli italiani hanno il dovere di ajutarli – e spero lo faranno – a dispetto della prigionia di cinquanta Garibaldi.
    « Avanti dunque nelle vostre belle risoluzioni, Romani e Italiani. Il mondo intiero vi guarda e voi, compiuta l’opera, marcierete colla fronte alta e direte alle nazioni: “ Noi vi abbiamo sbarazzata la via della fratellanza umana dal più abominevole suo nemico: il papato.
    « Caro Del Vecchio – voi non verrete in prigione con me – e farete stampar queste linee.

    « G. GARIBALDI »

     

    1 Falsamente poi il governo asserì, nella dichiarazione della Gazzetta Ufficiale che pubblichiamo più avanti che al generale Garibaldi prima di arrestarlo fosse stato intimato di retrocedere. Questo asserto venne formalmente smentito a nome del generale dal signor Del Vecchio testimonio oculare egli stesso in una lettera alla Riforma dalla quale abbiamo desunto i particolari precisi dell’arresto.

    Da: Storia della insurrezione di Roma nel 1867: Collana dei Martiri Italiani, Di Felice Cavallotti pp 274 -278(fonte)

    Gazzetta Ufficiale del regno d’Italia
    Firenze, Sabato 28 Settembre 1867

    Torino, 27.
    Oggi alle ore 8 ebbe luogo una dimostrazione.
    Venne presentata al prefetto una petizione chie-
    dente la liberazione di Garibaldi e Romi espl-
    tale. B prefetto promise d’inviare là petizione
    al Ministero; dopo di ció la dimostrasione si
    sciolse.
    Berlino, 27.
    La Gazzetta del Nord approva l’arresto di
    Garibaldi. Dice che questa misura risparmierà
    all’Italia la necessita di versare inutilmente del
    sangue ed ha prevenuto un’agitazione che sarebbe
    stata provocata da un nuovo Aspromonte.
    Questa misura nello stesso tempo sopprime nel
    loro germe tutti i dissensi che anche una parziale
    riuscita di Garibaldi avrebbe fatto sorgere
    tra l’Italia e la Francia.(fonte)

    [1] Sinalunga, 1867 Il 23 settembre 1867, alle prime luci dell’alba, fu arrestato Garibaldi, rientrato in Italia di ritorno dal Congresso della Pace di Ginevra. Il Generale si era fermato a Sinalunga, nell’ennesimo tentativo di avvicinarsi allo Stato Pontificio per cercare di ricongiungere Roma al Regno d’Italia, benché quasi tutti i maggiori rivoluzionari, compreso Mazzini, cercassero di dissuaderlo dall’impresa. Il governo italiano, costretto da minacce francesi, aveva dato ordine di arrestare Garibaldi, benché fosse deputato e la polizia seguiva, passo passo, i suoi spostamenti. Ad Arezzo l’accoglienza entusiasta del popolo aveva impedito l’arresto, ma a Sinalunga, che era un piccolo borgo, l’esercito regolare lo catturò, portandolo poi alla stazione tra le consuete manifestazioni popolari di consenso e simpatia, per trasferirlo nella fortezza di Alessandria. Nelle sue memorie Garibaldi, così ricorderà questo episodio: “Io avevo però fato i conti senza l’oste: ed una bella notte, giunto a Sinalunga, ove fui gentilmente accolto ed ospitato, venni arrestato per ordine del governo italiano e condotto nella cittadella di Alessandria”.

    ……………………. Sulla relazione del tenente dei Carabinieri Pizzuti, comandante della Luogotenenza di Orvieto………………………….

    Il 15 settembre 1864 il governo Minghetti stipulò una convenzione (“convenzione di settembre“) in virtù della quale l’Italia si assumeva la difesa dello Stato pontificio, al posto della Francia che ritirava le sue truppe. Nondimeno di lì a tre anni, Garibaldi si risolse a ritentare l’impresa fallita nel ’62.
    Il mattino del 22 settembre 1867 egli lasciò Sinalunga, da dove in poche ore avrebbe potuto raggiungere lo Stato pontificio, mettendo il Governo nella necessità di un pronto intervento. Fin dal mattino del 23 il prefetto di Perugia aveva predisposto quanto era necessario per impedire al Generale ogni possibilità di sconfinamento, da qualsiasi parte gli avesse cercato di raggiungere i territori del Papa, e nelle tarde ore di quello stesso giorno ne ordinava l’arresto.

    Il delicato incarico fu affidato al tenente dei Carabinieri Pizzuti, comandante della Luogotenenza di Orvieto, che ebbe a sua disposizione una Compagnia di Fanteria e un treno speciale.

    Ecco i particolari dell’arresto nella relazione spedita dal tenente Pizzuti, il 25 settembre, da Alessandria:

    Il 24 corrente verso le 2 antim. ricevetti, per mezzo della sotto prefettura d’Orvieto, l’ordine ministeriale di arrestare in Sinalunga Garibaldi ed i suoi. Col treno speciale messo a mia disposizione partii da Carnaiola alle 3,20 giungendo colà alle ore 4,30. Ivi arrivato presi le opportune precauzioni facendo caricare anche le armi ai centodieci uomini che avevo meco, cioè cinque carabinieri e centocinque di fanteria e mi introdussi in paese ove seppi che Garibaldi doveva partire verso Perugia alle ore 6. Mi affrettai quindi a mettere provvisoriamente in custodia quanti incontrai per impedire che si spargesse la voce dell’arrivo del treno e di truppa, ciò che avrebbe al certo compromesso l’operazione, bloccai quindi la casa del Generale e mi introdussi con due carabinieri sopra. Il padrone non voleva annunciarmi, io feci custodire lui e la servitù e feci informare della mia venuta il generale Garibaldi da un domestico. Fui introdotto nella sua stanza, lo trovai in letto, e gli partecipai l’ordine di accompagnarlo altrove, al che egli rispose essere a mia disposizione, mi chiese solo due o tre ore di tempo, io risposi non poter tanto accordare, mentre il paese era già in allarme, e che se tutto fosse avvisato ne sarebbero nati disturbi con la truppa, ciò che egli non potrebbe permettere. Garibaldi trovò giuste tali mie osservazioni e si mise a mia disposizione.

    Requisita una vettura lo scortai alla ferrovia in mezzo agli evviva e grida di simpatia della popolazione pel Generale, mal frenata dalla presenza della truppa. Partii quindi per Firenze, ove ricevetti l’ordine di dirigermi ad Alessandria: eseguii, giungendovi alle ore 10,30. Nel viaggio non vi fu novità di sorta, eccetto i soliti gridi, che usando prudenza non ebbero altro seguito.
    In Voghera Garibaldi disse essere alquanto indisposto e volersi fermare due ore, ebbi l’autorizzazione da S.E. il Ministro dell’Interno, ma mentre mi giungeva il dispaccio, il Generale esternava voler rimanere ivi l’intera notte. Io seppi che vi si trovava tal Pallavicini, suo braccio destro, e che la popolazione avrebbe potuto ammutinarsi e compromettere l’operazione, quindi, ad evitar l’impiego della forza, pregai il Generale di proseguire per Alessandria, dopo breve riposo, ove eravamo vicini; egli aderì.

    Non mancai di comunicare gli ordini precisi che avevo dal ministero di usare tutti i riguardi e che il medesimo metteva a sua disposizione tutto che potesse desiderare.
    Mentre da Sinalunga mi recavo allo scalo ferroviario, il maggiore Basso, garibaldino, e l’ingegnere Bartolini di Parma, chiesero di seguire il Genero che me ne pregò anche.
    Non opponendosi le mie consegne, aderii ed ora tutti si trovano nella cittadella di Alessandria.

    In Sinalunga non rinvenni altri ufficiali garibaldini.
    Io cercai di conciliare tutta la possibile politezza col mio dovere, come mi era imposto. A Sinalunga fui costretto ad agire energicamente e fermare provvisoriamente quanti incontrai appunto per impedire che la popolazione fosse avvisata e che sarebbesi al certo ammutinata come dimostrava, ciò che poi mi avrebbe costretto usare la forza, la qualcosa il ministero non voleva che in ultimo e non presumibile caso.
    Il Generale non ebbe a lagnarsi, anzi spesso ringraziava delle profferte che gli erano fatte da me e dal capitano di fanteria a mia disposizione
    “.

    Da: https://www.carabinieri.it/ “Non tutti sanno che…” (fonte)

    [2]. Monzani Cirillo (Castelnovo ne’ Monti, Reggio Emilia, 1823 Roma 2 aprile 1889), 205  – MONZANI Cirillo, prof., deputato, 15 aprile 1867 – 27 ottobre 1867 – (archiviodistatotorino.beniculturali.it – Governo_alte-cariche_ecc_Sussidi_2b – p.729) Fonte