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Pecori Giraldi, 1934

    Pecori Giraldi, 1934
    Pecori Giraldi, 1934

    IL MARESCIALLO D’ITALIA
    CONTE G. PECORI-GIRALDI[1]
    n° 1574 ris.

    Firenze, 15 nov. 1934 XIII

    On. Presidente[2],

    La ringrazio vivamente per
    quanto cortesemente le piacque comunicarmi con
    la di Lei del 13 corrente, n° 33945, nei riguardi
    dell’ex combattente Agostino RICCIOTTI[3]; e mi è
    gradita assai l’occasione per inviarLe i miei
    migliori saluti.

    Obblig mo
    IL MARSCIALLO D’ITALIA
    (G. Pecori-Girqldi)
    G.Pecori-Girladi

    a matita Atti
     


    Note

    [1] Guglielmo Pecori Giraldi – Nacque a Borgo S. Lorenzo (Firenze) il 18 maggio 1856 dal conte Francesco e dalla nobildonna Maria Genta.
    La famiglia Pecori Giraldi era una delle più antiche e insigni del patriziato fiorentino, la cui storia acquistò fama documentata fin dal XIII secolo, allorquando fu ascritta a quelle corporazioni artigiane che formavano il titolo necessario per partecipare al governo della città. Quasi tutti i suoi membri vestirono l’abito dell’ordine equestre di Santo Stefano.
    Compiuti gli studi classici, nel novembre 1873 Guglielmo entrò alla Scuola militare di fanteria e cavalleria di Modena e l’anno successivo all’Accademia militare di artiglieria e genio di Torino, dalla quale uscì nel 1877 con il grado di sottotenente di artiglieria. Fu promosso al grado di tenente e nel 1884, mentre frequentava la Scuola di guerra, divenne capitano. Le qualità dimostrate lo avviarono alla carriera nel corpo di stato maggiore, dove nel dicembre 1887, su sua esplicita richiesta, fu destinato al corpo di spedizione inviato a ribadire la presenza italiana in Eritrea dopo l’eccidio di Dogali.

    Risalgono a quel periodo i due diari manoscritti, ora conservati al Museo del Risorgimento di Vicenza, che raccolgono particolari inediti sulla situazione politica e sociale della colonia, sulle operazioni militari e sull’ordinamento del corpo di spedizione.
    Ritornato in Italia nel marzo 1889 fu assegnato al comando del corpo d’armata di Napoli; due anni dopo, nel dicembre 1891, venne promosso a maggiore e destinato al 78° reggimento fanteria. Tornato nel corpo di stato maggiore fu, nel 1895, inviato in missione di studio in Alsazia, Lorena, Carinzia e Salisburghese.

    Venne però richiamato in Eritrea, su esplicita richiesta del generale Oreste Baratieri, dopo il combattimento dell’Amba Alagi, e solo alcune settimane prima della débacle di Adua. Rimase in Africa fino al 1898 con il delicato compito della ricostruzione degli organici e della riorganizzazione della colonia dopo la sconfitta militare. Pecori Giraldi fu inviato a reggere la più importante e difficile zona della colonia, il Seraé Hamasen e rimase nel capoluogo, Adi Ugri, fino a quando vennero aboliti i comandi di zona in seguito all’istituzione del governatorato civile. Subentrò in quella carica a Ferdinando Martini, trovandosi per alcuni mesi reggente della colonia e comandante del corpo di spedizione.
    Nel 1903, con il grado di colonnello di stato maggiore, Pecori Giraldi ritornò per la terza volta in Africa come comandante delle truppe coloniali dell’Eritrea, in una fase storica in cui il disimpegno dell’Italia nel corno d’Africa diventava sempre più importante e la difficile gestione della smobilitazione richiedeva grandi competenze militari e doti diplomatiche.

    Rimpatriato nel 1907 con il grado di maggior generale, Pecori Giraldi comandò le brigate «Pisa» e «Cuneo» fino ad assumere, allo scoppio della guerra italo-turca, il comando della 1ª divisione militare di Messina destinata alla conquista della Libia.
    Il contingente italiano forte di 34.000 uomini era inquadrato in due divisioni, la prima delle quali guidata dal generale Pecori Giraldi. Impreparazione militare in territori avversi e poco conosciuti, errori tattici e logistici, difetti nella trasmissione degli ordini, furono i motivi che portarono a una serie di rovesci che provocarono nella compagine di governo e nell’opinione pubblica italiana profondo malcontento. Ritenuto ingiustamente l’unico responsabile dell’infausto episodio di Sciara Sciat nel settore di Tripoli, Pecori Giraldi alla fine del 1911, su decisione del ministro della Guerra Paolo Spingardi, fu richiamato in Italia e costretto a lasciare il servizio attivo.

    Nel marzo 1912, il ricorso al Consiglio di Stato riconobbe l’infondatezza del provvedimento del ministero e venne concessa a Pecori Giraldi l’iscrizione nella riserva. Nel marzo 1915, alla vigilia dell’entrata dell’Italia in guerra, fu richiamato in servizio dal generale Luigi Cadorna che continuava a considerarlo fra gli ufficiali più esperti e capaci.
    Collocato al comando della 27ª divisione, composta dalle brigate «Benevento» e «Campania», fu impegnato nella seconda battaglia dell’Isonzo (18 luglio – 3 agosto 1915), durante la quale le sue truppe si distinsero per la resistenza sulle quote del monte Sei Busi. Nell’autunno successivo, nel corso della terza (18 ottobre – 4 novembre) e quarta (10 novembre – 2 dicembre) battaglia dell’Isonzo, fu al comando del VII corpo d’armata impegnato sulle trincee delle alture di Monfalcone, del Sei Busi, del Cosich e del Debeli.

    L’8 maggio 1916 a seguito della destituzione del generale Roberto Brusati, Pecori Giraldi assunse il comando della 1ª armata, impegnata in un fronte amplissimo che andava dai ghiacciai dello Stelvio agli altipiani vicentini. In quei giorni si stava profilando imminente la minaccia dell’offensiva austriaca dal Trentino. All’alto comando Pecori Giraldi era arrivato con una solida preparazione tecnica e una lunga esperienza di guerra; lo spirito permeato di una vasta cultura, oltre che militare, classica e umanistica, lo aveva aiutato ad affrontare le responsabilità di comandante in quella che è stata definita la più grande battaglia mai combattuta in montagna. L’offensiva del maggio-giugno 1916, conosciuta come ‘strafexpedition’ fu la prova più dura e impegnativa di tutta la sua carriera militare, alla quale tenne testa e rispose ordinando un complesso variegato di azioni che riportarono le truppe italiane oltre le posizioni momentaneamente perdute.

    Successivamente, due anni di accorta azione di comando mutarono le sorti della 1ª armata, che, dopo l’impegno nella battaglia dei Tre Monti sull’Altipiano di Asiago con l’avanzata su Rovereto e Trento dell’ottobre-novembre 1918, determinò il crollo definitivo delle difese austriache.

    Il 3 novembre 1918, Pecori Giraldi divenne il primo governatore militare e civile della città di Trento e solo alcuni giorni dopo con l’avanzata delle truppe italiane fino al Brennero il governatorato comprese, oltre al Trentino, anche l’Ampezzano e l’Alto Adige. Come riconoscimento della sua opera, Pecori Giraldi nel 1919 assieme ad alti ufficiali come Pietro Badoglio, Enrico Caviglia e Gaetano Giardino, venne promosso generale d’esercito, il più alto grado della gerarchia militare italiana. Il 22 febbraio dello stesso anno era stato nominato senatore del Regno e da quel momento partecipò ai lavori del Consiglio dell’Esercito per assistere il governo nelle decisioni di politica militare. Nel 1926 gli fu conferito il titolo di maresciallo d’Italia e nel 1930 fu insignito del gran collare dell’ordine supremo dell’Annunziata, massima onorificenza di casa Savoia.
    Dopo la conclusione del conflitto, si impegnò nell’assistenza delle famiglie più bisognose dei combattenti della 1ª armata e soprattutto dei figli orfani dei caduti. Costituì e presiedette la Fondazione 3 novembre 1918 che sovrintese ai lavori di costruzione del sacello ossario del Pasubio, dove furono raccolte le spoglie di 5.146 soldati italiani e 40 austriaci.
    Morì a Firenze il 15 febbraio 1941. Pecori Giraldi non ebbe figli; nel 1900 aveva sposato la contessa Camilla Sebregondi e si era in seguito unito in seconde nozze alla contessa Lavinia Ester Maria Morosini. Per sua esplicita volontà testamentaria, nel 1953, la sua salma fu tumulata tra quelle dei soldati all’ossario del Pasubio.(fonte)

    [2] Alberto Emanuele Lumbroso Nacque a Torino il 1o ott. 1872, in una famiglia israelita, unico figlio di Giacomo e di Maria Esmeralda Todros, di nazionalità francese.
    Il nonno paterno, Abramo, protomedico del bey di Tunisi, aveva ottenuto nel 1866 da Vittorio Emanuele II il titolo di barone per meriti scientifici e per speciali benemerenze. Il padre del L., Giacomo, era nato a Bardo, in Tunisia, nel 1844. Ellenista e papirologo di fama internazionale, dal 1874 socio della Deutsche Akademie der Wissenschaften, influenzò fortemente l’educazione e la formazione intellettuale del Lumbroso. Trasferitosi a Roma intorno al 1877, divenne accademico dei Lincei (1878) e pubblicò la sua opera principale, L’Egitto al tempo dei Greci e dei Romani (Roma 1882), ottenendo nello stesso 1882 la cattedra di storia antica all’Università di Palermo. Con il medesimo insegnamento, nel 1884, si trasferì a Pisa, quindi, nel 1887, nuovamente a Roma dove insegnò storia moderna alla “Sapienza” (vedi le Lezioni universitarie su Cola di Rienzo, ibid. 1891). Giacomo morì a Rapallo nel 1925.
    I trasferimenti del padre lasciarono notevoli tracce nella formazione del giovane L.; tra le sue prime esperienze romane si ricordano la frequentazione delle case di T. Mamiani e di Q. Sella, dove divenne amico di S. Giacomelli, nipote di questo; in Sicilia rimase affascinato da G. Pitrè e, nell’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari da lui diretto, pubblicò nel 1896 il suo primo articolo.

    Nel periodo pisano il L. continuò con successo gli studi e sviluppò una notevole passione per la cultura erudita, collezionando autografi, raccogliendo motti, proverbi e notizie folkloristiche, sempre in perfetta sintonia con il padre. Tornato a Roma si diplomò al liceo classico E.Q. Visconti, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e si appassionò al periodo napoleonico, laureandosi, intorno al 1894, con una tesi su Napoleone I e l’Inghilterra (poi rielaborata e pubblicata in volume: Napoleone I e l’Inghilterra. Saggio sulle origini del blocco continentale e sulle sue conseguenze economiche, Roma 1897). Gli studi napoleonici occuparono interamente il L. fra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo del Novecento. La frequentazione di ambienti intellettuali ed eruditi italiani (soprattutto romani, torinesi e, più tardi, napoletani) e francesi, l’assoluta familiarità con la lingua della madre e lo sviluppo di un talento compilativo dimostrato fin dalla prima giovinezza portarono il L. alla realizzazione di un gran numero di pubblicazioni.

    Tra il 1894 e il 1895 uscirono i cinque volumi del Saggio di una bibliografia ragionata per servire alla storia dell’epoca napoleonica (Modena), circa mille pagine dedicate alle lettere “da A a Bernays” (l’opera resterà incompiuta) e tra il 1895 e il 1898 le sei serie della Miscellanea napoleonica (Roma-Modena), altra cospicua opera erudita di oltre millecinquecento pagine che raccoglieva memoriali, lettere, canzoni, accadimenti notevoli e minuti forniti da studiosi europei e introdotti dal L.; nella Bibliografia dell’età del Risorgimento V.E. Giuntella li definì “saggi bibliografici che, sebbene arretrati, possono ancora essere utilmente consultati” (I, Firenze 1971, p. 405).

    L’interesse per il periodo napoleonico portò il L. a Napoli, in cerca di notizie e documenti su Gioacchino Murat. Suo interlocutore privilegiato in quella città fu B. Croce: il L. frequentò la casa del filosofo negli ultimi anni del secolo e i rapporti epistolari tra i due si protrassero a lungo.

    I maggiori lavori napoletani del L. furono la Correspondance de Joachim Murat, chasseur à cheval, général, maréchal d’Empire, grand-duc de Clèves et de Berg (julliet 1791 – julliet 1808 [sic]), (prefaz. di H. Houssaves, Turin 1899 e L’agonia di un Regno: Gioacchino Murat al Pizzo (1815), I, L’addio a Napoli, prefaz. di G. Mazzatinti, Roma-Bologna 1904.

    Alla fine del secolo il L. fu organizzatore e presidente operativo del Comitato internazionale per il centenario della battaglia di Marengo (14 giugno 1800-1900): chiamò alla presidenza onoraria G. Larroumet, professore della Sorbona e accademico di Francia, ottenendo la partecipazione onoraria di noti intellettuali tra cui G. Carducci, B. Croce, G. Mazzatinti, C. Segre, A. Sorel, le cui lettere di adesione furono via via pubblicate nel Bulletin mensuel du Comité international; nel 1903, accompagnato da una lettera-prefazione di Larroumet, fu edito il primo tomo, poi rimasto senza seguito, dei Mélanges Marengo (s.l. [ma Frascati] né d.).

    Ancora una volta il L. usa uno stile cronachistico, cerca e pubblica ogni genere di fonte, prediligendo quelle dirette. A tale scopo rintraccia figli e nipoti dei personaggi che descrive; caso emblematico quello dei “Napoleonidi”: e infatti, grazie ai suoi lavori e alle sue frequentazioni parigine, divenne “Bibliothécaire honoraire de S.A.I. le prince Napoléon” [Vittorio Napoleone]; pubblicò poi Napoleone II, studi e ricerche. Ritratti, fac-simili di autografi e vari scritti editi ed inediti sul duca di Reichstadt (Roma 1902), Bibliografia ragionata per servire alla storia di Napoleone II, re di Roma, duca di Reichstadt (ibid. 1905) e – più tardi – redasse le voci su Napoleone I e i Napoleonidi per il Grande Dizionario enciclopedico UTET (1937, VII, pp. 1100-1150). A coronamento dei suoi interessi per i Bonaparte, nel 1901 il L. fondò e diresse la Revue napoléonienne, bimestrale (ma, dal 1908, mensile) che uscì fino al 1913, coinvolgendo nell’iniziativa un gran numero di studiosi italiani e francesi.

    L’interesse per la cultura d’Oltralpe lo portò a pubblicare anche lavori su Voltaire (Voltairiana inedita, Roma 1901), Stendhal (Stendhaliana: da Enrico Beyle a Gioacchino Rossini, Pinerolo 1902) e soprattutto Maupassant (Souvenirs sur Guy de Maupassant: sa dernière maladie, sa mort. Avec des lettres inédites communiquées par madame Laure de Maupassant et des notes recueillies parmi les amis et les médecins de l’écrivain, Genève-Rome 1905), scritto durante un lungo soggiorno parigino.

    Nel 1898 il L. era intanto diventato consigliere della Società bibliografica italiana e probabilmente nel contesto culturale della Società conobbe Carducci, cui dedicò, postuma, una Miscellanea carducciana (con prefaz. di B. Croce, Bologna 1911), raccolta di notizie critiche, biografiche e bibliografiche sul poeta.

    Nel 1897 aveva sposato Natalia Besso, dall’unione con la quale nacquero Maria Letizia (1898) e Ortensia (1901). Nel 1901 l’intera famiglia abbracciò la religione cattolica. Nel 1904 il L. donò la sua ricca biblioteca napoleonica (circa trentamila volumi e opuscoli) alla Biblioteca nazionale di Torino, da poco distrutta in un incendio. Nel 1907 assunse, con A.J. Rusconi, la direzione della Rivista di Roma e, a partire dal 1909, ne divenne direttore unico.

    La direzione della Rivista rappresentò una svolta nei suoi interessi e nei suoi studi, che da internazionali ed eruditi divennero più “patriottici”, legati a eventi del Risorgimento e della storia italiana (in particolare il L. sì appassionò alla riabilitazione dell’ammiraglio C. Pellion di Persano e, oltre agli articoli apparsi nella Rivista, sull’argomento pubblicò La battaglia di Lissa nella storia e nella leggenda: la verità sulla campagna navale del 1866 desunta da nuovi documenti e testimonianze, Roma 1910, seguita da ulteriori approfondimenti, tra cui Il carteggio di un vinto, ibid. 1917). Tra coloro chiamati dal L. a collaborare alla Rivista – che dal primo momento egli volle “crispina, salandrina e antigiolittiana” e, dopo la guerra, “antibonomiana e antinittiana” (Premessa, s. 3, XXXII [1928], 1) – D. Oliva, E. Corradini, L. Ferderzoni, A. Dudan.

    Dal 1909 G. D’Annunzio collaborò alla Rivista di Roma. Il contatto diretto portò in breve tempo il L., inizialmente piuttosto critico nei confronti del poeta (si veda del L. Plagi, imitazioni e traduzioni, in Id., Scaramucce e avvisaglie. Saggi storici e letterari di un bibliofilo(, Frascati 1902, pubblicazione che Croce aveva particolarmente apprezzato), a divenirne ammiratore e paladino, fino a entrare in forte polemica sia con lo stesso Croce sia con G.A. Borgese; nel 1913, nel cinquantesimo anniversario di D’Annunzio, volle dedicargli l’intero n. 6 della Rivista; nello stesso anno il L. fu attivo nel Comitato pro Dalmazia italiana e, nel 1914, diede vita a un Comitato pro Polonia del quale offrì la presidenza onoraria al poeta.

    Approssimandosi la guerra, la Rivista di Roma svolse campagne in favore dell’intervento e, nel 1915, lo stesso L. partì volontario col grado di sottotenente. Promosso tenente, dal 1916 al 1918 fu addetto militare aggiunto presso l’ambasciata italiana ad Atene e, al termine del conflitto, fu insignito del cavalierato nell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per benemerenze acquisite in guerra.

    Nel 1924, ormai di fatto separato dalla moglie, il L. si trasferì a Genova dove riprese la pubblicazione della Rivista di Roma, sospesa nel biennio 1922-23, che diresse fino al 1932. A Genova ebbe due figli, Emanuele e Maria Tornaghi, nati nel 1918 e nel 1919 da Adriana Tornaghi, con la quale aveva a lungo convissuto.

    Dopo la morte del padre, il L. ne pubblicò la bibliografia (in Raccolta di scritti in onore di Giacomo Lumbroso, Milano 1925); fin dal 1923 aveva collaborato con Critica fascista, e nel 1929 inviò suoi libri a B. Mussolini e chiese l’iscrizione al Partito nazionale fascista. I lavori più consistenti del L. negli anni Venti e Trenta furono dedicati principalmente alla Grande Guerra e a personaggi della casa reale.

    Bibliografia ragionata della guerra delle nazioni: numeri 1-1000 (scritti anteriori al 1  marzo 1916), Roma 1920; Le origini economiche e diplomatiche della guerra mondiale, dal trattato di Francoforte a quello di Versailles, I-II, Milano 1926-28; Carteggi imperiali e reali: 1870-1918. Come sovrani e uomini di Stato stranieri passarono da un sincero pacifismo al convincimento della guerra inevitabile, ibid. 1931; Cinque capi nella tormenta e dopo: Cadorna, Diaz, Emanuele Filiberto, Giardino, Thaon di Revel visti da vicino, ibid. 1932; Da Adua alla Bainsizza a Vittorio Veneto: documenti inediti, polemiche, spunti critici, Genova 1932; Fame usurpate: il dramma del comando unico interalleato, Milano 1934.

    Fra gli ultimi volumi pubblicati dal L. si ricordano ancora: Carlo Alberto re di Sardegna. Memorie inedite del 1848, con uno studio sulla campagna del 1848 e con un’appendice di documenti inediti o sconosciuti tradotti sugli autografi francesi del re da Carlo Promis (s.l. 1935) nonché, per i “Quaderni di cultura sabauda”, I duchi di Genova dal 1822 ad oggi (Ferdinando, Tommaso, Ferdinando-Umberto), ed Elena di Montenegro regina d’Italia (entrambi Firenze 1934).

    Grazie al suo prestigio personale e all’adesione al cattolicesimo risalente al 1901, i Lumbroso furono discriminati dall’applicazione delle leggi razziali del 1938, ma il L. non pubblicò più. Il L. morì a Santa Margherita Ligure l’8 maggio 1942.(fonte)

    [3] Agostini, Ricciotti. Tenente, Comandante del reparto d’assalto del 148° Reggimento Fanteria. Catturato sul Mrzli.  studente del V ginnasio a Roma. Cfr. Verbali interrogatorio. Cfr. G. Alliney, Caporetto sul Mrzli.(fonte)