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Libia, guerra italo turca, accampamento, 1913

    Libia, guerra Italo turca, accampamento 2° Battaglione 1913
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    Fotografie del Sr Ten  Pandolfini (35°) dal Rid. 3.
    Principio di settembre 1913
    III
    Bar. e trincee

    Accampamenti 2° e 3° Battagl- 35°
    Campo arabi
    Asta della Radio
    Cucina e scuderie del Ridotto 3

    E -31

    MISURE 1,5×7,5 cm

    © Archivio Sacchini


    Note

    GUERRA ITALO-TURCA,

    Agostino GAIBI

    Guido ALMAGIA

    La guerra italo-turca, iniziata con la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Turchia (29 settembre 1911), si concluse con la pace di Losanna sottoscritta il 18 ottobre 1912.

    Cause della guerra. – Superata la crisi morale provocata dall’insuccesso dell’impresa di Abissinia, l’Italia, ammaestrata dalla dura esperienza dei passati errori, aveva iniziato una politica oculata per tutelare i suoi interessi nel Mediterraneo, il cui equilibrio politico era continuamente minacciato dall’incombente sfacelo dell’Impero Ottomano. Così essa partecipò con le altre potenze interessate all’occupazione di Creta e pose gli occhi sulla Libia e sul Marocco, i soli territorî rimasti esenti da influenze dirette europee nell’Africa Mediterranea. La Libia, principalmente, per la sua situazione geografica, era indispensabile all’Italia per la sua stessa sicurezza e per il suo avvenire di potenza mediterranea.

    Tra il 1902 e il 1905 ebbero luogo fra Italia, Francia e Inghilterra accordi per la sistemazione delle rispettive aspirazioni coloniali e furono stabiliti i limiti delle zone d’influenza di ciascuna: la Francia ottenne libertà d’azione al Marocco e promise il suo disinteressamento qualora l’Italia avesse dovuto sostituire la Turchia in Libia. Germania e Austria non si opposero da principio alle aspirazioni della loro alleata Italia, ma, ritardando questa l’attuazione dei suoi disegni, fra il 1909 e il 1911 la Germania aveva pensato d’insediarvisi essa stessa o comunque esercitarvi la propria influenza diretta per mezzo dell’amica Turchia; ciò in relazione al progetto di una ferrovia transahariana che doveva collegare il Mediterraneo col futuro impero centro-africano che la Germania si riprometteva di formare collegando i suoi possedimenti del Camerun, dell’Africa Sud-occidentale e dell’Africa Orientale attraverso i territorî coloniali della Francia, dell’Inghilterra, del Belgio e del Portogallo.

    Il ritardo frapposto nell’attuazione del progetto era dipeso dal fatto che, sul principio, l’opinione pubblica italiana, per i dolorosi ricordi della campagna del 1895-96, rifuggiva da ogni politica di espansione. Ma poi, con l’aumentare del benessere e della tranquillità del paese, col formarsi in Italia di una coscienza coloniale, la questione libica cominciò ad appassionare l’opinione pubblica, specie quando, col risorgere della questione marocchina e con la definizione di questa, ancora una volta modificante a nostro svantaggio l’equilibrio mediterraneo, la parte illuminata della nazione (auspice l’Associazione nazionalista) comprese come non potesse rimanere allo stato di semplice aspirazione il diritto dell’Italia di avere assicurata in Libia una sfera d’influenza politica adeguata ai suoi interessi. Il pericolo, poi, vero o supposto, di un’occupazione tedesca della Libia, non fece che affrettare la decisione. La Turchia, già da tempo messa in sospetto dall’interessamento dell’Italia per la Libia, si era data a perseguitare i sudditi e le iniziative italiane nei suoi territorî, offrendo più volte l’occasione di un intervento. Un ultimo incidente, nel settembre 1911, diede luogo alla dichiarazione di guerra (29 settembre). L’azione dell’Italia provocò il malumore di molte potenze rimaste deluse nelle loro speranze, malumore di cui si fece eco la stampa internazionale, senza riuscire peraltro a impedire all’Italia l’attuazione dell’impresa.

    Le forze contrapposte. – Per l’eventualità di una spedizione in Libia lo Stato Maggiore italiano aveva da tempo studiato la costituzione di un corpo di spedizione oltremare; il progetto definitivo, che servì di base alla mobilitazione decretata il 25 settembre 1911, datava dal 1909-10. Il primo giorno di mobilitazione fu fissato al 28 settembre. Il corpo d’armata speciale, al comando del tenente generale Carlo Caneva, risultò costituito di due divisioni di fanteria e inoltre di: due reggimenti bersaglieri, un reggimento di artiglieria da montagna, un gruppo di artiglieria da fortezza, un battaglione zappatori, una compagnia telegrafisti; un totale, compresi i servizí, di 34.000 uomini, 1300 quadrupedi, 1050 carri, 48 pezzi da campagna e 24 da montagna. Concorsero alla formazione del corpo d’armata speciale soldati delle classi 1889 e 1890 sotto le armi e richiamati della classe 1888. In base all’esperienza delle campagne contro l’Etiopia, il corpo di spedizione fu composto con reparti organici tratti dai varî corpi d’armata e largamente dotato di servizî. La forza del corpo di spedizione era stata calcolata in base al presupposto errato, dovuto a informazioni inesatte, che la popolazione indigena avrebbe conservato un contegno, se non amichevole, almeno neutrale. Invece la massa della popolazione, largamente provvista di armi e munizioni dal governo turco alla vigilia del conflitto, assunse fin dal principio un atteggiamento decisamente ostile e, sotto la guida di ufficiali turchi, prese parte attivissima alla guerra contro gl’Italiani; il che richiese l’invio in Libia, nel corso delle operazioni, di forze molto superiori al previsto. Infatti, fra la metà di ottobre e la fine di dicembre 1911, si dovettero ancora mobilitare: 7 brigate e 1 reggimento di bersaglieri; 6 battaglioni di alpini; 8 squadroni di cavalleria; 17 batterie di artiglieria da campagna e 8 da montagna; 7 compagnie di artiglieria da fortezza; 6 compagnie del genio; 1 sezione aerostatica; reparti aeronautici, 2 stazioni radiotelegrafiche, servizî, ecc. Complessivamente, in più della prima spedizione: 55.000 uomini, 8300 quadrupedi, 1500 carri, 84 pezzi da campagna, 42 da montagna e 8 da assedio. Dal gennaio all’ottobre 1912 furono mobilitati altri 4 battaglioni alpini, 7 battaglioni di ascari eritrei, 1 squadrone meharisti, reparti di dirigibili e squadriglie di aeroplani. Durante la campagna infine furono colmati i vuoti e sostituite le classi 1888 e 1889 congedate, con un movimento complessivo di circa 200.000 uomini.

    La marina concorse alle operazioni con due squadre da battaglia, una divisione navi scuola, una divisione siluranti, la divisione del Mar Rosso e numerose navi sussidiarie e da trasporto. Furono messe in stato di guerra le piazze di Taranto, Brindisi, Messina e costituita una base provvisoria ad Augusta.

    Negli ultimi anni i Turchi avevano, in virtù della riorganizzazione dell’esercito dovuta al maresciallo von der Goltz, accresciute le forze della Libia, tentando anche d’imporvi la coscrizione, e migliorate le fortificazioni, il cui valore bellico rimase tuttavia scarso. Le forze regolari, rappresentate dalla divisione autonoma dei vilâyet africani, comprendevano 4 reggimenti di fanteria, 1 battaglione cacciatori, 1 reggimento di artiglieria, 3 compagnie di artiglieria da fortezza, 6 compagnie del genio, 1 reggimento di gendarmeria; in totale, dati gli effettivi ridotti, circa 5000 uomini in Tripolitania e 2000 in Cirenaica; esse servirono più che altro a inquadrare gl’indigeni (numerosi ufficiali e soldati turchi riuscirono a raggiungere la Libia durante la guerra attraverso la Tunisia e l’Egitto) che, come si è accennato, risposero numerosi all’appello in seguito alla proclamazione della guerra santa, parte come regolarizzati, ma per lo più raggruppati in mehalla irregolari al comando dei loro proprî capi i quali, a seconda dell’importanza della cabila, dovevano fornire un determinato contingente e tenerlo a numero. Il comando fu assunto in Tripolitania dal colonnello Nesciat bey. Circa la marina, allo scoppio della guerra le forze navali turche sparse lungo le coste dell’Impero dall’Albania al Mar Rosso, comprendevano 3 corazzate, 4 incrociatori protetti, 5 cacciatorpediniere, 16 torpediniere, 9 cannoniere e una ventina di navi da trasporto; altre navi erano antiquate o non in grado di tenere il mare.

    Piani di guerra. – Il piano di guerra italiano si fondava su due presupposti errati: che l’occupazione dei più importanti centri costieri della Libia avrebbe indotto la Turchia a cedere e avrebbe condotto quindi a una rapida composizione diplomatica del conflitto; che la popolazione indigena, ritenuta a torto, come si è detto, avversa ai Turchi, non avrebbe preso le armi a loro favore. Guerra quindi, non spinta a fondo, ma con obiettivi e mezzi limitati. In conseguenza il piano di guerra, in origine, non contemplò che operazioni di polizia marittima per assicurare il dominio del mare e operazioni di sbarco per l’occupazione dei più importanti centri costieri della Libia. Ragioni di politica internazionale sconsigliavano fin da principio un’azione energica su altri punti vitali dell’Impero Ottomano. Le ipotesi fatte si dimostrarono in seguito non rispondenti alla realtà: la guerra ebbe ulteriori sviluppi terrestri e marittimi non previsti che, come si è accennato, richiesero maggior impiego di forze e tempo assai maggiore ed estesero il teatro delle operazioni anche al Mediterraneo orientale e al Mar Rosso. Inoltre talune potenze mal sopportarono l’impresa italiana e, pur proclamandosi ufficialmente neutrali, sottomano agirono poco amichevolmente: così, mentre Francia e Inghilterra chiusero gli occhi sul contrabbando esercitato attraverso la Tunisia e l’Egitto a favore dei Turchi, l’Austria meditò addirittura di aggredire l’Italia alle spalle.

    Il piano di guerra turco non è noto; probabilmente non ne fu progettato alcuno; il contegno della Turchia, che sperava forse nell’intervento a suo favore di potenze amiche, fu assolutamente di difesa passiva, e la condotta delle operazioni rimase affidata all’iniziativa dei singoli comandanti.

    I primi sbarchi e la costituzione delle basi costiere in Libia. – Nonostante la stagione sfavorevole alle operazioni di sbarco, queste non furono ritardate per ragioni di prestigio e per evitare l’invio in Africa di nuove truppe e mezzi da parte della Turchia. Le forze navali riunite agli ordini del vice-ammiraglio A. Aubry si dislocarono opportunamente, sia per stabilire il blocco sulle coste libiche, sia per sorvegliare le mosse della flotta nemica, che si sapeva radunata a Beirut, sia per tagliare la via a navi ottomane cariche d’armi, munizioni e vettovaglie dirette alla Libia. Le torpediniere Albatros Airone, precedendo la 2ª squadra in navigazione da Augusta verso Tripoli, tagliavano il cavo telegrafico fra Tripoli e Malta (notte dal 30 settembre al 10 ottobre), mentre la divisione Presbitero bombardava la stazione radiotelegrafica di Derna. Intimata la resa alla piazza di Tripoli dal vice-ammiraglio A. Faravelli, comandante in capo della 2ª squadra (2 ottobre), il giorno seguente le navi BrinFilibertoGaribaldiFerruccioCoatitUmbertoSardegnaSiciliaCarlo Alberto alle 15,30 apersero il fuoco contro le opere fortificate. Il bombardamento, interrotto la sera, fu ripreso la mattina dopo sino alla completa inutilizzazione dei forti. Il presidio turco abbandonò la città, che il giorno 5 fu occupata dalle forze da sbarco delle navi, 1700 uomini appena, al comando del capitano di vascello U. Cagni. L’11, precedendo il grosso del primo convoglio, giunsero davanti a Tripoli (scortati da navi da guerra) i piroscafi requisiti America Verona, con due reggimenti, che sostituirono subito i marinai sbarcati, e il 15 tutte le truppe erano a terra con quadrupedi, materiali, munizioni e viveri. La squadra ottomana non aveva neppure tentato di molestare le nostre operazioni, giacché sino dal 28 settembre aveva lasciato Beirut con apparente direzione verso la Cirenaica, ma in realtà per rifugiarsi nei Dardanelli. L’urgenza di prendere posizione sulla costa della Cirenaica consigliava di affrettare le operazioni anche nello scacchiere di levante, e perciò il 5 ottobre il comandante in capo delle forze navali riunite occupava Tobruk. Ma la lunga distesa delle coste libiche (1320 km.) rendeva necessaria l’occupazione immediata di altri punti, e così furono occupati prima Derna (16-17 ottobre), poi Bengasi (19-20 ottobre) e Homs (21 ottobre). Lo sbarco alla Punta Giuliana (15 ottobre), ostacolato dal mare e contrastato dal nemico, e il combattimento della Berca, che consentirono l’occupazione di Bengasi, costituiscono una delle azioni più brillanti della guerra. Effettuati gli sbarchi e iniziata l’organizzazione difensiva delle località occupate, si manifestò subito l’ostilità delle popolazioni, non prevista; alimentata dalla propaganda dei Turchi, dal fanatismo religioso, essa diede luogo fin da principio a tentativi di rivolta, specialmente a Tripoli (Sidi el-Hani, Sciara esc-Sciat, 23 ottobre), che furono prontamente soffocati, ma a prezzo di dolorose perdite. I tentativi di attacco dall’esterno da parte dei Turchi, fallirono (Sidi el-Hani, Bu Meliana, 26 ottobre). Il novembre 1911 il re proclamava l’annessione all’Italia della Tripolitania e della Cirenaica.

    Le operazioni terrestri per l’allargamento e il consolidamento delle basi costiere. – A Tripoli l’esistenza dell’oasi, estendentesi a oriente per cirea 15 km. fino a Tagiura, consentendo la raccolta al coperto di forze nemiche, costituiva una minaccia perenne per la sicurezza della fronte orientale; occorreva impadronirsene, ma per fare ciò appariva indispensabile occupare in antecedenza il posto avanzato turco stabilitosi ai pozzi di Ain Zara, donde avvenivano le infiltrazioni nell’oasi. Il 26 novembre 1911 la primitiva fronte orientale: batteria Hamidiè – Sidi el-Hani – fortino Sidi el-Masri, che dopo i fatti d’armi del 23 e 26 ottobre era stata ritratta sulla linea Tombe dei Caramanli-Marabutto di Sidi el-Masri, venne ristabilita e il 4 dicembre le nostre truppe, avanzando su più colonne verso i pozzi di Ain Zara e dopo aver disperso nuclei di osservazione avversarî, occuparono la località catturandovi armi (fra cui 7 cannoni da campagna) e munizioni e costituendovi un campo trincerato. In virtù di tale azione, l’oasi orientale poté essere occupata integralmente fino a Tagiura (10-13 dicembre). Il 20 gennaio 1912 l’occupazione venne estesa anche a occidente fino a Gargàresc. Tali operazioni costrinsero i Turcoarabi a ritirare i loro elementi avanzati più all’interno (come apparve in numerose ricognizioni eseguite) e garantirono la sicurezza della piazza di Tripoli. Infatti, dopo un vano tentativo contro Ain Zara (28 gennaio), l’avversario non osò più disturbare le posizioni italiane. La sua attività fu volta in seguito a ostacolare l’estendersi dell’occupazione italiana lungo la costa occidentale; all’uopo costruì più ordini di trincee a occidente di Gargàresc, specialmente avanti all’oasi di Zanzur, dove aveva raccolto notevoli forze. Per eliminare la minaccia e in vista di una non lontana avanzata su Zuara (verso la quale puntava da occidente la 5ª divisione, che era frattanto sbarcata a el-Màchbez) l’8 giugno le truppe del presidio di Tripoli marciarono su Zanzur e, dopo 4 ore di combattimento, superata la resistenza dei Beduini, che fu particolarmente tenace attorno al marabutto di Sidi Abd el-Gelìl, occuparono il triplice ordine di trincee dell’avversario. Una colonna nemica, accorsa da sud, tentò di avvolgere il fianco sinistro delle nostre truppe, ma le riserve, tempestivamente accorse da Gargàresc e da Bu Meliana, sventarono la mossa dell’avversario che ripiegò abbandonando sul campo oltre 1000 morti. Le truppe italiane ebbero 43 morti e 278 feriti. L’avanzata venne ripresa dopo l’occupazione di Zuara da parte della 5ª divisione. Il 20 settembre infatti la divisione De Chaurand, avanzando da Sidi Abd el-Gelìl, occupava l’oasi di Zanzur e conquistava l’altura di Sidi Bilàl, sventando ancora un contrattacco sulla sinistra da parte delle forze nemiche accorse da sud. Le perdite degli Italiani furono gravi (115 morti e 433 feriti), ma il nemico lasciò sul campo circa 2000 morti e la sua resistenza attorno a Tripoli venne definitivamente fiaccata.

    A Homs, cacciati i Turco-arabi dalle immediate vicinanze della base (10 dicembre), apparve necessario occupare l’altura di Ras el-Mèrgheb, a SO. dell’abitato, donde il nemico disturbava il presidio della piazza con saltuarî tiri di artiglieria. Il 27 febbraio, mentre un finto sbarco veniva operato verso Zliten per attrarre il nemico da quella parte, tre colonne mossero di sorpresa verso Ras el-Mèrgheb e dopo vivo combattimento se ne impadronirono. Il nemico tentò di riprendere la posizione, con un attacco di sorpresa, la notte sul 6 marzo, ma venne respinto con gravi perdite. Nuclei di Beduini restavano tuttavia annidati fra i ruderi di Leptis e costituivano una perenne minaccia. Il 2 maggio due colonne italiane avanzarono su Leptis e ne occuparono le rovine costruendovi delle ridotte. Il 12 giugno il nemico tentò di sorprenderne il presidio, ma venne respinto e prontamente contrattaccato: alcuni nuclei di Beduini, raggiunti e circondati nell’Uadi Lebda e sulle Montagnole Rosse prima che potessero sottrarsi con la fuga, vennero annientati (Monticelli di Lebda, 12 giugno 1912). Dopo questa brillante azione il presidio di Homs non venne più seriamente disturbato.

    A Bengasi, dopo l’occupazione italiana, la guarnigione turca, rinforzata dai numerosi beduini delle cabile circostanti, si era stabilita a el-Benina, a una ventina di chilometri a est della città; elementi avanzati erano annidati nelle piccole oasi attigue, appena fuori del tiro delle artiglierie della piazza, e disturbavano con colpi di mano i presidî delle opere avanzate, il che diede luogo a numerose avvisaglie d’avamposti. Per cacciarli dai loro nascondigli furono eseguite ricognizioni con forti colonne, che diedero luogo a scontri (notevole quello di el-Coefia, 28 novembre 1911) e le navi bombardarono a più riprese le oasi costiere. Nel mese di dicembre il nemico aumentò gli avamposti e manifestò con attacchi più frequenti intenzioni offensive; il 25 dicembre infatti si presentò in forze, su più colonne e con artiglieria, in vista della piazza, ma preso sotto il fuoco delle artiglierie non osò attaccare e si ritirò nella notte abbandonando numerosi morti e due cannoni. Seguì un lungo periodo di calma, turbato solo dalle consuete scaramucce, finché la notte sul 12 marzo 1912 grosse turbe di Beduini, inquadrati da ufficiali turchi, si appostarono negli orti di Abd el-Ghani e tentarono all’alba un attacco di sorpresa: ebbe così luogo la battaglia detta “delle due Palme”: arrestato dal fuoco delle opere il tentativo fallì e gli assalitori, sorpresi e circondati da un vigoroso contrattacco nel loro nascondiglio prima che potessero sfuggire, furono pressoché annientati; un migliaio di cadaveri nemici rimase sul campo. La dura lezione fiaccò l’ardire nel nemico che non osò più, in seguito, avventurarsi contro le linee italiane.

    La posizione della città di Derna, situata ai piedi della ripida balza con cui l’altopiano, da oltre 200 m. di altezza, cade quasi a picco sul mare, ne rese fin da principio difficile la difesa. Il tavolato dell’altipiano poi, profondamente inciso da erosioni in ogni senso, facilitava l’insidia da parte del nemico e rendeva impossibile qualsiasi azione offensiva verso l’interno, senza prima aver costruito strade d’accesso all’altipiano e assicurato con opere fortificate la sicurezza degli sbocchi della piazza. Occorreva infine proteggere con opportuni lavori e opere la derivazione dell’acqua potabile proveniente dal fondo dell’Uadi Derna, parecchi chilometri a monte della foce. Per queste ragioni e perché il nemico (favorito dal terreno e comandato da un ufficiale turco di grande energia, il colonnello Enver bey) si mostrò in questa zona particolarmente aggressivo, i combattimenti svoltisi attorno a Derna fino al settembre 1912, e cioè fino a completa sistemazione della piazza, ebbero da parte italiana carattere prevalentemente difensivo. Notevole quello svoltosi la notte sul 12 febbraio 1912 per la difesa dei ridotti campali Lombardia Calabria, ancora in costruzione; quello di Sidi Abdalla (3 marzo) nel quale il nemico, sebbene impiegasse tutte le sue forze e sfruttasse abilmente il terreno insidioso, venne respinto. Ultimata nel luglio la cinta difensiva delle opere, vennero eseguite operazioni offensive a stretto raggio per allontanare gli avamposti nemici, donde partivano saltuarî colpi di artiglieria, e per allargare la cinta stessa. Una di tali aperazioni venne eseguita il 14 settembre contro il campo nemico di riva sinistra dell’Uàdi (Sidi Abdalla 20) e per proteggere la costruzione della nuova opera detta “del Rudero” a oriente della città. Il nemico, ritiratosi verso l’interno, reagì nei giorni sucmssivi, debolmente il 15 e il 16, più energicamente il 17 (combattimento di Ras el-Leben contro le nuove posizioni a oriente della cinta difensiva); ma venne sempre respinto con gravi perdite e il 17 settembre abbandonò oltre 1000 morti sul campo. L’8 ottobre venne occupata anche la posizione di Sidi Abdalla e il 10 un ultimo attacco nemico fu respinto nell’Uadi bu-Msafer.

    A Tobruch l’allargamento progressivo della cinta difensiva a protezione della base navale diede luogo a numerosi scontri di secondaria importanza, nonostante che il numero dei nemici nella zona fosse notevolmente aumentato. Ultimati i lavori, dopo luglio le molestie cessarono.

    Lo sbarco al confine tunisino e l’occupazione di Zuara. – Assicurata fin dal principio della primavera del 1912 la difesa delle basi principali, parte delle truppe venne impiegata in operazioni di più largo raggio: una di queste fu lo sbarco al confine tunisino e l’occupazione di Zuara. Fin dai primi mesi dell’occupazione risultava che un attivo contrabbando proveniente dalla Tunisia alimentava la resistenza dei Turco-arabi. Allo scopo d’interdirlo o almeno di ostacolarne le vie costiere, già alla metà del dicembre del 1911 era stato deciso uno sbarco a Zuara, ma la pessima stagione e le difficoltà dello sbarco obbligarono a ritardare l’impresa, che fu poi attuata nella primavera successiva sulla penisola di el-Màchbez, presso il confine, più idonea per ragioni nautiche e militari. Ivi, dal 10 al 14 aprile, prese terra la 5ª divisione speciale (costituita con truppe dei presidî di Tripoli e di Homs e in parte giunte dall’Italia: in totale circa 10.000 uomini) al comando del gen. V. Garioni, costituendo una base sulla penisola e occupando il fortino turco di Bu Chemmàsc, sulla sponda opposta nell’interno della baia. Il nemico, accorso numeroso nei giorni successivi, dopo un vano tentativo d’impadronirsi di Bu Chemmàsc (23 aprile), si limitò a investire la base disponendosi a semicerchio, fuori del tiro delle nostre artiglierie, dal confine tunisino alle dune di Sidi Said, sulla costa. Dal 26 al 28 giugno due colonne, avanzando da el Màchbez (gen. C. Lequio) e da Bu Chemmàsc (gen. A. Cavaciocchi) rispettivamente, attaccarono e conquistarono la posizione di Sidi Said, occupandola. Il 14 luglio, proseguendo l’avanzata verso Zuara, la divisione Garioni occupò dopo vivo combattimento le alture di Sidi Alì, infrangendo definitivamente il cerchio nemico. I Turco-arabi infatti rinunciarono a difendere Zuara, che fu occupata il 6 agosto. Il 15 le truppe italiane marciarono su Regdalìn e se ne impadronirono, intercettando così il fascio carovaniero costiero più agevole per il contrabbando.

    Sbarco e occupazione di Misurata. – Circa due mesi dopo lo sbarco di el-Màchbez, allo scopo di completare l’occupazione costiera della Tripolitania e d’impedire il contrabbando da mare, venne effettuata una spedizione nella zona di Misurata, una delle più popolate e ricche di vegetazione e di risorse. Il corpo di spedizione, composto di circa 9000 uomini tolti dai presidî di Tripoli, Derna e Bengasi e formanti una divisione al comando del ten. gen. V. Camerana, effettuò lo sbarco di sorpresa il 16 giugno, fra Ras Zarrùgh e la punta di Sidi bu Sceifa, incontrando debole resistenza; il giorno successivo venne occupato l’abitato di Gasr Ahmèd. Sistemata la nuova base, l’8 luglio le truppe marciarono su Misurata, che occuparono senza grandi difficoltà. Il nemico, davanti alla avanzata italiana, si era ritirato in un primo tempo raccogliendosi nella vicina oasi di el-Ghiràn, donde nei giorni successivi, ripreso ardire, molestava con incursioni gli abitanti dell’oasi e rendeva malsicura la regione. In seguito una brigata mista mosse su el-Ghiràn e disperse i Beduini annidativisi.

    Occupazione del Dodecaneso. – La Turchia, nonostante l’avvenuta occupazione italiana della Libia e l’impossibilità di alimentarvi la resistenza all’infinito, a causa della sua grande inferiorità navale, non accennava a cedere, come si era da principio creduto. Per affrettare la soluzione della guerra portando un nuovo colpo al prestigio ottomano, pur senza urtare troppo gravemente la suscettibilità delle altre potenze, il governo italiano decise di occupare alcune isole del basso Egeo, nell’intento anche di creare una stazione di rifugio alle forze navali italiane incaricate del blocco delle coste turche del Mediterraneo orientale, e di procurarsi un pegno da far valere nelle future trattative di pace. In conseguenza il 26 aprile venne occupata l’isola di Stampalia. Fu quindi decisa l’occupazione di Rodi e di altre isole dell’Egeo. Nella notte dal 3 al 4 maggio il corpo di spedizione del generale G. Ameglio, scortato dalla squadra del vice-ammiraglio M. Amero d’Aste, giunse presso l’isola e sbarcò sulla costa di levante; il giorno dopo Rodi si arrese, dopo che il presidio turco (1500 uomini con due batterie da montagna) si era ritirato nell’interno. L’8 maggio il valì di Rodi fu fatto prigioniero dal cacciatorpediniere Ostro, mentre dalla baia di Lindo tentava la fuga. Il 12 maggio furono occupate dalle navi Vittorio EmanueleRegina ElenaRomaPisaSMarcoAmalfi le isole di Scarpanto, Caso, Piscopi, Nisiro, Calimno, Lero e Patmo. Il giorno 14 le truppe iniziavano le mosse contro il presidio turco di Rodi. Due colonne, sbarcate contemporaneamente sulle opposte coste, rispettivamente a Malona e a Kalavarda, e una terza colonna partita da Rodi conversero su Psito, che raggiunsero il giorno 16, dopo lunga e aspra marcia notturna attraverso un terreno impervio. I Turchi furono circondati e, dopo vivo combattimento, costretti alla resa, che avvenne il mattino successivo. Frattanto la flotta occupava con reparti di marinai le altre isole dell’arcipelago delle Sporadi meridionali (Cos, Simi e Calchi).

    Separazione delle due colonie libiche. – Con l’occupazione della costa da Ras el-Màchbez a Zuara, con l’ampliamento delle basi di Tripoli, Homs, Bengasi, Derna e Tobruch e con l’impianto di altra base importante nella città di Misurata, il programma di espansione costiera nella Libia poteva ritenersi effettivamente compiuto. Rimaneva ancora da affermare il possesso nella Sirte, ma la regione, ritenuta allora inospite e deserta, parve non meritare lo sforzo di una nuova impresa.

    Tanto in Tripolitania quanto in Cirenaica si affacciava ora il problema della penetrazione all’interno, che esigeva un nuovo indirizzo di guerra, ma di carattere essenzialmente locale, con scopi, mezzi e obiettivi speciali per ciascuna colonia, che rendevano non solo inutile, ma forse dannoso un unico comando per i due territorî; perciò il governo decise di rendere le due regioni libiche autonome l’una rispetto all’altra. E in attuazione di questo concetto, il 5 settembre i due comandi delle truppe in Tripolitania e in Cirenaica venivano resi indipendenti.

    Operazioni navali. – L’apertura delle ostilità colse la marina italiana all’indomani della chiusura delle grandi manovre (15 settembre 1911); essa perciò era tutt’altro che impreparata, e lo mostrò la pronta ed efficace sua entrata in azione. Le primissime operazioni di guerra si svolsero nell’Adriatico e nello Ionio, e nella settimana tra il 28 settembre e il 5 ottobre il duca degli Abruzzi, contrammiraglio ispettore delle siluranti, ridusse il nemico all’impotenza sulle coste albanesi: Prevesa (29 settembre), Gomenizza (30 settembre), S. Giovanni di Medua (5 ottobre).

    Compiute le operazioni di sbarco (v. sopra), l’opera della marina entrava in una fase nuova che ebbe due caratteri: l’uno essenzialmente marinaresco, per la continua scorta dei convogli affuenti dall’Italia e recanti truppe e materiale di ogni genere, l’altro di cooperazione con le forze dell’esercito, a sostegno delle azioni terrestri. Ma ancora ad altre opere provvedeva la marina: vigilanza notturna, bombardamenti e ricognizioni lungo le coste, servizio radiotelegrafico, lavoro di scarico dei piroscafi affluenti nei porti, rifornimento di carbone, imbarco dei feriti sulle navi ospedale, ecc. Parallelamente con lo svolgersi delle operazioni sulle coste libiche, si era sviluppata un’azione molto intensa di polizia marittima nel Mar Rosso. Si istituiva a Massaua un comando superiore navale, si inviavano navi e torpediniere a sorvegliare la costa araba in tutta la sua estensione, dal golfo di Acaba a Bāb el-Mandeb. Il bombardamento di Scēkh Sa’id per parte della Calabria e del Granatiere, la fazione navale di Qunfudhah, dove fu distrutto ciò che restava della potenza ottomana nel Mar Rosso, il bombardamento di el-Ḥodeidah, la cattura di navi e sambuchi contrabbandieri, dimostrano l’attività della marina in quel mare.

    Completato nel febbraio 1912 un primo assetto difensivo delle posizioni occupate sulle coste libiche, provveduto a lasciare su quelle il naviglio sufficiente alla necessaria sorveglianza costiera, la marina rivolgeva la propria azione verso un campo nuovo. La flotta ottomana, rifugiata dai primi giorni entro i Dardanelli, rappresentava pur sempre una minaccia: la conformazione stessa delle coste asiatiche nell’Egeo, prestandosi bene a ogni specie di agguati, dava a quella forza navale, di per sé stessa poco temibile, un valore non disprezzabile. Fu deciso di sventare ogni pericolo, e come prima azione in quei mari la Garibaldi e il Ferruccio, al comando dell’ammiraglio Thaon di Revel, distrussero il 24 febbraio, dopo breve ma vivace combattimento, una cannoniera corazzata e una torpediniera, rimaste nel porto di Beirut. Il 18 aprile, dopo che importanti cambiamenti erano avvenuti negli alti comandi navali (all’ammiraglio A. Aubry, morto, era succeduto l’ammiraglio L. G. Faravelli che a sua volta per ragioni di salute aveva dovuto cedere il comando all’ammiraglio L. Viale), tre divisioni e la Pisani si trovavano raccolte nell’alto Egeo e bombardavano efficacemente i forti dei Dardanelli, con grande effetto morale sulle popolazioni rivierasche dell’Ellesponto e della stessa Costantinopoli. Negli stessi giorni altre navi isolavano Rodi, tagliando i cavi telegrafici, affondavano a Porto Vathy di Samo una cannoniera turca, e distruggevano la stazione radiotelegrafica di Patera. Seguì l’occupazione delle isole dell’Egeo (v. sopra).

    Allo scopo di accertare le vere condizioni della difesa nel passo dei Dardanelli, entro il quale era sempre rifugiata la squadra ottomana, fu organizzata una spedizione di naviglio torpediniero con l’incarico dì spingersi fin dove sarebbe stato possibile. Il comando fu affidato al capitano di vascello E. Millo, che con le torpediniere SpicaCentauroAstoreClimenePerseo, nella notte del 18 luglio, si spinse su per il canale sino a Kilīd Baḥr in vista della squadra nemica, e riuscì a ritornare incolume, malgrado l’accanito tiro delle artiglierie da ambedue i lati dello Stretto.

    Compiuta ormai l’occupazione della zona costiera della Tripolitania, dalla Sirte al confine tunisino, come quella della Cirenaica, da Bengasi a Tobruch, continuarono attivissime le crociere delle navi per la repressione del contrabbando in tutti i teatri marittimi.

    Ancora pochi giorni prima della firma della pace la 2ª squadra prendeva posizione davanti a Smirne e la 1ª stava per raggiungerla in Egeo, ma non fu necessario. Oltre i compiti strettamente militari e navali, la marina assolse brillantemente: il servizio sanitario, con le navi ospedale Re d’Italia Regina d’Italia; in parte il servizio aeronautico, che allora per la prima volta fu sperimentato in tempo di guerra; il servizio delle capitanerie di porto, eec. E all’eccezionale attività delle navi corrispose a terra, negli arsenali e nelle officine, altrettanto febbrile ardore.

    La pace di Losanna. – La Turchia, nonostante che le felici operazioni degl’Italiani nella primavera e nell’estate del 1912 le avessero tolto ogni speranza, non accennava a rassegnarsi alla perdita della Libia e a mostrare sinceri propositi di pace. Trattative diplomatiche furono intavolate e poi interrotte ad Ouchy. Ma intanto i popoli balcanici, insofferenti dell’oppressione dei Turchi, mordevano il freno e manifestavano il fermo proposito d’insorgere con le armi approfittando dell’esaurimento in cui l’Impero Ottomano si trovava a causa della guerra con l’Italia.

    Al principio dell’autunno infatti, resistendo la Turchia alle loro rivendicazioni, tutta la Penisola Balcanica fu in armi contro l’oppressore. Il governo ottomano, per avere le mani libere nella difesa del suo territorio, dovette allora rassegnarsi alla perdità della Libia. Le trattative con l’Italia, condotte da parte italiana da P. Bertolini, G. Fusinato e G. Volpi, furono riprese e verso la metà di ottobre, quando cominciavano le operazioni degli alleati balcanici, fu trovata una formula di accomodamento in base alla quale il sultano, pur non riconoscendo apertamente la sovranità dell’Italia sulla Tripolitania e sulla Cirenaica, sotto il pretesto di salvaguardare l’amor proprio della Turchia, concedeva l’autonomia alle popolazioni della Libia, conservandovi peraltro la sua sovranità califfale, dai negoziatori italiani ritenuta, a torto, di carattere eminentemente religioso. L’Italia da parte sua dichiarava la sua sovranità sulla Libia, impegnandosi a non ostacolare i rapporti fra le popolazioni libiche e il sultano, un rappresentante del quale avrebbe dovuto risiedere in Libia. Trattato dunque poco chiaro e gravido di incognite, che avrebbe certo creato in seguito gravi imbarazzi se non fosse poi decaduto per la successiva dichiarazione di guerra alla Turchia nel 1915. Esso peraltro, nonostante queste manchevolezze, assicurò all’Italia il riconoscimento della sua sovranità sulla Libia da parte di tutte le potenze, nonché il possesso del Dodecaneso, dapprima a titolo di pegno, come garanzia dell’osservanza del trattato da parte della Turchia, poi, per l’inadempienza di questa e per la successiva guerra mondiale, divenuto definitivo.(Fonte)

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