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Pietro Ruggieri, 1916

    Pietro Ruggieri, 1916
    a
    « di 2 »

    Agli elettissimi amici Persichetti

    Col già intenso affetto
    P Ruggieri

    9-VIII-916

    Bologna – Istituto Rizzoli 19/X/916[1]

    Ai carissimi amici a ricordo della seconda
    ferita riportata sul Carso[2]; a conferma di
    mia amicizia piena di sincero affetto
    e della mia profonda riconoscenza.
    Infiniti ossequi; saluti, auguri d’ogni
    bene. Abbracci carissimi. P Ruggieri

    CARTE POSTALI

    Corrispondance Adresse
    M

    Foto ritratto militare italiano

    Stampa all’albume su cartoncino, 8,5 x 13 cm

    © Archivio Sacchini


    Note

    [1] Il Rizzoli nella Grande Guerra
    Ubicato a Bologna, punto strategico nelle retrovie della prima Guerra Mondiale, l’Istituto Ortopedico Rizzoli ricevette in grande quantità feriti e mutilati dal fronte. Anche la grandiosa biblioteca venne riallestita per ospitare i soldati ricoverati. La storia del Rizzoli negli anni 1915-1918 si intreccia dunque con quella della Grande Guerra.
    La guerra evidenziò il problema di ridare autonomia e capacità lavorative ai mutilati provenienti dal fronte e per questo Vittorio Putti, direttore del Rizzoli dal 1915, si applicò allo studio del concetto di “amputazione cinematica” del moncone che lo rendeva adatto all’applicazione delle protesi e del sistema meccanico che comanda l’articolazione dell’arto artificiale, con l’obiettivo di ridare ai mutilati la speranza di una vita più possibile normale. Grande impulso ebbe inoltre l’attività delle Officine Ortopediche Rizzoli le cui maestranze furono chiamate ad un’intensa produzione di protesi ed ausili.
    Lo straordinario impegno di allora ci ha consegnato un importante patrimonio storico-archivistico che l’Istituto intende valorizzare per dare evidenza delle vicende di quegli anni attraverso la partecipazione a mostre ed eventi culturali, nonché tramite un progetto di recupero e valorizzazione del proprio archivio storico. Esso contiene circa 3.500 cartelle cliniche di datazione compresa tra il 1915 e il 1922. Ogni cartella narra la storia di un soldato ed è formata dal materiale medico relativo all’anamnesi, fotografie, disegni, racconto diaristico dell’evento che condusse al ferimento, nonché dalla descrizione e dal materiale delle protesi. Questo inestimabile patrimonio storico è un unicum a livello nazionale ed internazionale, sia perché è specchio dell’attività di una grande istituzione medica di cura e di ricerca, sia perché è pervenuto ai nostri giorni senza subire danni o interventi che ne alterassero l’assetto originario.(fonte)

    [2] La Settima battaglia dell’Isonzo fu uno scontro bellico, perdurato dal 14 al 18 settembre 1916, che vide l’esercito italiano tentare un’offensiva contro le truppe austro-ungariche.
    Obiettivi
    Gli attacchi italiani ebbero come obiettivo le trincee austro-ungariche sul Carso, tra il mare Adriatico e Gorizia.
    La Terza armata italiana doveva irrompere sull’altura di Fajti (Quota 432) in direzione del Monte Tersteli per poi attaccare Trieste. Gli Italiani riuscirono appena a conquistare alcune trincee e una piazzaforte presso Merna.

    Preparativi
    Svetozar Borojević, dopo la sesta battaglia dell’Isonzo sapeva che il Comando supremo militare italiano avrebbe ritentato il forzamento del fronte dell’Isonzo quindi si adoperò per rinforzare il sistema difensivo, soprattutto sul Carso. Per le opere di fortificazione aveva a disposizione 40.000 genieri, di cui la metà costituito da prigionieri di guerra russi. Inoltre ricevette, entro settembre, notevoli rinforzi che portarono le truppe austro-ungariche sull’Isonzo a 165 battaglioni, la presa di Gorizia aveva preoccupato lo stato maggiore austro-ungarico, che aveva concesso i rinforzi. Cadorna manteneva la sua convinzione, dopo i successi del sesto tentativo, e i rovesci in Galizia degli austro-ungarici, che la direttrice di attacco attraverso l’Isonzo verso Trieste fosse l’unica che avrebbe portato alla vittoria, e tralasciò le proposte della Regia Marina per uno sbarco in Istria, per aggirare le difese nemiche. Per il compito di superare i 20 chilometri che separavano la prima linea italiana da Trieste ammassò abbastanza truppe da ottenere, localmente, un rapporto di tre a uno con i fanti austro-ungarici e di quattro a uno per quanto riguarda l’artiglieria.

    Battaglia
    Il bombardamento preparatorio dell’artiglieria italiana iniziò gradualmente dal 7 settembre per poi intensificarsi il 10. La sera del 13, una squadra di bombardieri pesanti si unì all’artiglieria nel bombardare le posizioni austro-ungariche.
    La mattina del 14 settembre il bombardamento raggiunse il culmine d’intensità e nel pomeriggio le truppe del Duca d’Aosta si lanciarono all’attacco. Una breve apparizione del sole aveva convinto l’Alto Commando italiano ad iniziare il bombardamento finale ma in poco tempo si scatenarono forti temporali e infine calò la nebbia. La sera dello stesso giorno, le truppe italiane, logorate dalla pioggia, si trovarono in difficoltà ovunque anche grazie alla dura reazione austro-ungariche. Il Comando della 3ª Armata italiana ordinò alle truppe di interrompere l’attacco e mantenere le posizioni raggiunte, mentre l’artiglieria doveva continuare il tiro sulle postazioni nemiche.
    All’alba del 15 venne dato di nuovo l’ordine di attaccare. Le truppe italiane delle brigate GranatieriFerraraLombardiaNapoli e i bersaglieri, con in testa il 15º reggimento, attaccarono le posizioni austro-ungariche e, a sera, erano riusciti a conquistare altri 300 metri.
    Il 16 e 17 settembre la battaglia si concluse. La 3ª armata era stata bloccata da una difesa nemica ben più solida del previsto e, in parte, sconosciuta. Tra la prima e seconda linea, infatti, ve ne erano altre due, munite di reticolati e magazzini di materiale bellico pronto all’uso. Gli austro-ungarici, indietreggiando lentamente erano sempre al riparo, mentre le truppe italiane avanzanti subivano il fuoco delle mitragliatrici avversarie.
    Dal 14 al 17 settembre si ebbero un numero di vittime pari a 20.333 soldati e 811 ufficiali.
    Fu durante questa battaglia che Cadorna inaugurò la tattica delle “spallate”, ovvero urti energici ma di breve durata contro settori limitati. La battaglia durò solo quattro giorni, ma le perdite furono terribili su entrambi i lati.(fonte)