Aerop. Comiso 22-9-40 – XVIII
23° gruppo[1] –
Paparino[2] carissimo,
scusami se non ho potuto
scriverti prima, ma tra il mettersi a posto e
tante altre piccole coserelle non ho avuto altro
tempo che quello di mandare in giro un po’ di
telegrammi con il solo indirizzo –
Il posto qui è veramente in gamba per vari
motivi alcuni dei quali te li puoi imma=
ginare – Di tutti i nuovi che sono arrivati
i quattro di Caserta sono quelli più indietro,
ma con tutto questo hanno già cominciato
a farci volare ed ora stiamo andando abbastan=
za forte. Io credo che tra un mesetto anche noi
potremo farci sentire. Ti puoi immaginare
come attendiamo quel momento.
Il paesetto è grandicello e non mancano
così tante coserelle necessarie. L’unico guaio
sono il caldo e le mosche, ma pur di star
qui sopporteremo questo ed altro.
Altre informazioni non posso darvele, ma
quando tutto sarà finito allora ti racconterò
in quale clima stiamo vivendo.
Io mi vanto che a Rodi ci sono diversi miei
compagni; ed anzi uno di questi; un certo Catalano,
ha i mie saluti per te.
Tu che fai di bello? Pensi spesso al
tuo rampollone che è tanto lontano e in
mezzo ai fichi d’india?
Da casa non ho ricevuto ancora nulla, ma
il fatto è che sono un po’ tutti scombinati
e non si sa mai dove pescarli:
Come te ho mandati una lettera con la
richiesta di tante cose che qui sono molto
necessarie.
Ed ora paparino vado a letto perché la
sveglia e piuttosto mattiniera e il sonno
è forte a quell’ora –
Scrivimi spesso; io farò il possibile per
risponderti sempre –
Ciao paparino –
Ti bacio tanto affettuosamente
Vittorio[3]
Note
vers. eng.
Comiso Airport 22-9-40 – XVIII
23rd group –
Dearest Dad,
I’m sorry I couldn’t write to you sooner, but between settling in and lots of other little things, I only had time to send a few telegrams with just the address –
This place is really great for various reasons, some of which you can imagine – Of all the new arrivals, the four from Caserta are the furthest behind, but despite this, they have already started to fly us and now we are going quite fast. I think that in a month or so we will also be able to make our mark. You can imagine how we are looking forward to that moment.
The village is quite large and there is no shortage of necessary items. The only trouble is the heat and the flies, but we will put up with this and more in order to stay here.
I cannot give you any more information, but when it is all over, I will tell you what the atmosphere is like here.
I am proud to say that I have several comrades in Rhodes, and one of them, a certain Catalano, sends his regards to you.
What are you up to? Do you often think of your offspring who is so far away, surrounded by prickly pears?
I haven’t received anything from home yet, but the fact is that they’re all a bit disorganised and you never know where to find them:
Like you, I sent a letter requesting many things that are very necessary here.
And now, Dad, I’m going to bed because the alarm clock is set quite early and I’m very sleepy at that hour.
Write to me often; I’ll do my best to always reply.
Bye, Dad.
Lots of love,
Vittorio
[1] Il XXXIII Gruppo era un gruppo di volo della Regia Aeronautica, attivo nel 11º Stormo.
Storia
Regia Aeronautica
Al 1º gennaio del 1936 è sull’Aeroporto di Ferrara-San Luca, inquadrato nell’11º Stormo da Bombardamento Terrestre sui Fiat B.R.3 della Regia Aeronautica. Il reparto è costituito dalle seguenti unità:
59ª Squadriglia;
60ª Squadriglia.
Nell’aprile 1936 riceve gli S.M.81 ed entro luglio 1938 transita sui Caproni Ca.135 ma a causa di problemi tecnici nel mese di ottobre passa sugli S.M.79. Dall’8 aprile 1939 il Reparto va all’Aeroporto di Foggia.
Seconda guerra mondiale
Dal 6 giugno 1940 il gruppo va all’Aeroporto di Comiso con la 60ª Squadriglia con 8 SM 79 e la 59ª Squadriglia con 9 SM 79. Il 10 maggio 1941 il Gruppo da autonomo passa al 9º Stormo ricostituito nell’Aeroporto di Viterbo quando era dotato di velivoli CANT Z.1007 bis. A Viterbo i suoi equipaggi effettuarono alcuni mesi di addestramento e nell’agosto ritornò in zona di operazioni con le squadriglie all’Aeroporto di Trapani-Milo. Da Trapani il reparto iniziò un’intensa attività bellica con voli contro obiettivi terrestri e navali sull’Isola di Malta, svolgendo, inoltre, alcune scorte a convogli e bombardamenti di formazioni navali avversarie. Nel dicembre 1941 il reparto si trovava sull’Aeroporto di Castelvetrano da dove continuò a portare le sue azioni offensive su Malta.
Alla metà del gennaio 1942 si trasferì a Viterbo per avvicendare gli equipaggi ed assestare il materiale di volo dopo diversi mesi di attività bellica. Il 25 maggio il reparto tornò nuovamente in linea trasferendosi sull’Aeroporto di Trapani-Chinisia S. Giuseppe, dove operò subito contro basi aeree avversarie tra le quali, come in precedenza, Micabba, Ta Venezia e Hal far. Il 14 giugno il reparto partecipò alla Battaglia di mezzo giugno svolgendo azioni contro convogli nemici, partendo dall’Aeroporto di Villacidro sul quale era arrivato il giorno prima. Il 18 giugno il gruppo ritornò a Chinisia, partecipò alla Battaglia di mezzo agosto nel Mediterraneo centrale e venne poi trasferito a Castelvetrano. Anche da questa base il reparto svolse molte incursioni aeree sugli Aeroporti ed i Porti Maltesi. In questo ciclo operativo dell’estate 1942, il reparto subì perdite molto dolorose abbattendo alcuni intercettori nemici con i suoi equipaggi in duri combattimenti aerei. In ottobre il reparto continuò da Castelvetrano l’attività bellica contro Malta fino all’11 gennaio 1943 quando si riunì allo Stormo a Viterbo dopo aver anche partecipato ad azioni nell’Africa settentrionale francese ed a crociere di protezione di convogli.
Il 15 giugno del 1943 passa nel 10º Stormo B.T. e va all’Aeroporto di Jesi ed ai primi di settembre 1943 è ancora nel 10º Stormo Bombardamento Terrestre di Jesi.(fonte)
[2] Renato Bartoccini. Nacque a Roma il 25 ag. 1893, da Goffredo, artigiano, e da Marianna Balducci. Compì i suoi studi a Roma ed era ancora studente universitario quando partì volontario per la guerra del 1915-18, nel corso della quale rimase ferito e fu riconosciuto meritevole di numerose decorazioni: una medaglia d’argento, due medaglie di bronzo, una croce di guerra, due medaglie d’argento francesi. Prima che la guerra finisse, riuscì a conseguire la laurea in archeologia (13 genn. 1917). Fra i suoi maestri nell’università era anche lo storico-antiquario-epigrafista Dante Vaglieri; nel 1918 il B. ne sposò la figlia, Bianca.
Nel 1920 R. Paribeni, direttore delle missioni italiane in Levante, gli assegnò il primo importante incarico: il B. fu inviato in Egitto per studiare una fortezza romana, il Qaşr ash-Sham) non lontano dal Cairo. Su questo tema tenne poi una comunicazione nel VI congresso di studi romani. Nello stesso 1920 fu nominato ispettore presso la Soprintendenza ai monumenti e scavi della Tripolitania, allora diretta da P. Romanelli, che gli affidò gli scavi di Sabratha. Il B. seguì tuttavia anche gli altri lavori che erano in corso nella regione, pubblicando nel frattempo i primi dei suoi numerosi scritti di tema africano: Guida del Museo di Tripoli, Tripoli 1923; Le ricerche archeologiche in Tripolitania, in Rivista della Tripolitania, I (1924), n. 1-2, pp. 59-73; Restauri nel castello di Tripoli, in Bollettino d’arte, XVIII (1924), pp. 279-284. Numerosi articoli del B. compaiono inoltre in vari fascicoli del Notiziario del ministero delle Colonie e dell’Ideacoloniale.
Nominato egli stesso soprintendente nel 1923, dopo il rimpatrio del Romanelli, il B. conservò tale carica fino al 1928.
Il bilancio della sua attività, svolta con l’appoggio del governatore Volpi di Misurata, è di proporzioni notevoli: il complesso di scoperte più rilevanti è quello della zona del foro di Sabratha (due templi, due basiliche cristiane, la curia), ma nel frattempo furono portati avanti anche scavi e studi a Leptis Magna (arco dei Severi, terme), restauri a Tripoli (castello), a Bab el Horria (mura), a Tagiura (moschea). Il B. curò inoltre la risistemazione delle collezioni leptitane, e continuò a scrivere articoli e monografie: Il foro imperiale di Lepcis (Leptis Magna), in Africa italiana, I (1927), n. 1, pp. 53-74; alcuni altri articoli sempre in Africa italiana, I (1927), n. 3 e II (1929), n. 2; Guida di Sabratha, Roma 1928; Guida di Lepcis (Leptis Magna), ibid. 1928; Le terme di Lepcis, Bergamo 1929. Negli anni fra il 1927 e il 1929 il B. collaborò, con articoli di soggetto archeologico, a importanti quotidiani, quali il Corriere della Sera e La Stampa. Sempre nel periodo “tripolitano”, il B. organizzò anche il I convegno internazionale di archeologia cristiana (1925).
Accanto a questa attività febbrile di carattere organizzativo e scientifico, vanno registrate le prese di posizione politiche: come altri noti archeologi del tempo, il B., dopo aver aderito al nazionalismo, aderì anche al fascismo.
Le operazioni da lui portate avanti in Tripolitania sono del resto inquadrabili in quella che viene comunemente definita “archeologia coloniale”: la sfumatura negativa indubbiamente contenuta in questa definizione, però, più degli aspetti politici concerne quelli metodologici. Quegli scavi (e non solo quelli condotti nelle colonie) erano giganteschi sterri, lontanissimi dal rigore dei metodi stratigrafici oggi da molti ritenuti indispensabili; il recupero dei materiali si limitava in genere alle “opere d’arte”, trascurando le testimonianze di “cultura materiale”; si accumulavano enormi masse di reperti e di dati, e poi era arduo trovare il tempo di pubblicarli adeguatamente. Ciò non toglie che l’importanza dei monumenti indagati fosse notevole, l’estensione dei lavori talvolta impressionante.
Alle tendenze proprie, nel bene e nel male, dell’archeologia del suo tempo, il B. aggiungeva le sue personali di “uomo d’azione” instancabile. La sua attività proseguì perciò intensissima anche dopo il suo rientro in Italia (1928). Fra 1929 e 1933 fu direttore dell’Ufficio autonomo per gli scavi, i monumenti e le opere d’arte della provincia di Ravenna: continuò il restauro di S. Vitale (iniziato da C. Ricci), ripristinando fra l’altro l’ingresso ed il livello pavimentale originali; curò i restauri anche di S. Giovanni Battista (dove scoprì la capsella-reliquiario in marmo del V secolo, con Scene dei magi, dell’Ascensione ecc., ora nel Museo arcivescovile) e di S. Giovanni Evangelista. Fu anche direttore dell’Istituto di studi bizantini, nonché della rivista Felix Ravenna, in cui pubblicò numerosissimi articoli sui suoi importanti rinvenimenti e restauri. Ma qualche scritto di questi anni è ancora dedicato alla sua attività in Tripolitania, come L’arco quadrifronte dei Severi a Lepcis, in Africa italiana, IV (1931), n. 1-2, pp. 32-152.
Contemporaneamente, come capo della missione archeologica italiana in Transgiordania, iniziava scavi ad Amman, che sarebbero proseguiti in sette campagne fra 1929 e 1939. E i risultati sarebbero stati copiosi: sull’acropoli sarebbe stata rimessa in luce l’antica roccia sacra degli Ammoniti, poi incorporata in un tempio romano dedicato a Marco Aurelio; da ricordare inoltre l’esplorazione dell’agorà (questa volta con studi anche sulla ceramica), nonché quella di tutta la regione fino alla Siria. Di quest’attività il B. diede notizia: Ricerche e scoperte della missione italiana in Amman, in Bollettino dell’Associazione internazionale per gli studi mediterranei, I (1930), n. 3, pp. 15-17; altri articoli nelle annate III (1932), n. 2, pp. 16-23, e IV (1933), n. 4-5, p. 10, dello stesso periodico; inoltre La roccia sacra degli Ammoniti, in Atti del IV congresso di studi romani, Roma 1938, pp. 103-108; Un decennio di ricerche e di scavi italiani in Transgiordania, in Bollettino del R. Istituto di archeologia e storia dell’arte, IX (1940), n. 1-6, pp. 75-81.
Nel corso di quegli stessi anni, compiva passi avanti la carriera del B. nell’amministrazione: nel 1933 era direttore del Museo nazionale di Taranto, nel 1934 soprintendente ai monumenti e scavi delle Puglie; per un breve periodo, a partire dal 1936, resse anche il Provveditorato agli studi di Bari.
Nel periodo pugliese, il B. si occupò della riorganizzazione e catalogazione del Museo di Taranto, avviando il restauro degli ori provenienti dalle ricche tombe delle zone circostanti; a Lucera condusse scavi nell’anfiteatro e studiò le piccole terrecotte conservate nella collezione antiquaria della città; a Lecce diresse lo scavo dell’anfiteatro; a Canne esplorò il sepolcreto, che attribuì ai caduti romani e cartaginesi della battaglia del 216 a. C., d’accordo con M. Gervasio (attribuzione che fu successivamente posta in dubbio da N. Degrassi e F. Tiné Bertocchi, la quale ultima proseguì l’esplorazione dei sepolcri e stabilì che si trattava di vari nuclei di un cimitero medievale). Fra gli scritti di questo periodo si possono ricordare quattro articoli apparsi in Japigia, VI (1935), n. 1-2, pp. 123-131 e 225-262; VII (1936), n. 1, pp. 11-53; e IX (1941), n. 3-4, pp. 185-213 e 241-298: Sculture romane nel Museo di Canosa, La tomba degli ori di Canosa, Anfiteatro e gladiatori in Lucera, Arte e religione nella stipe votiva di Lucera; inoltre Il teatro romano di Lecce, in Dioniso, V (1935), n. 3, pp. 103-109. Anche in Puglia il B. proseguì la sua attività pubblicistica, collaborando stavolta con la Gazzetta del Mezzogiorno.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, il B., su domanda del governo delle Isole italiane dell’Egeo, era nominato (1940) soprintendente alle antichità a Rodi: condusse scavi e restauri a Rodi stessa, soprattutto nel porto e nella zona nordorientale adiacente, dove un’ampia via colonnata romana si sovrappone alle fasi ellenistiche, e in altre città dell’isola, come Lindos (acropoli, teatro) e Camiros (stoà, templi). La morte in guerra del figlio Vittorio, caduto con il suo aereo presso Malta (medaglia d’argento alla memoria), lo indusse a presentare domanda di rientro in Italia (1941). Fu destinato alla Soprintendenza di Milano, che però non raggiunse perché – nel frattempo – venne richiamato in servizio militare di complemento come ufficiale di Stato Maggiore: come tale, coordinò in Grecia l’ufficio assistenza. Nel periodo della Repubblica di Salò il ministero dell’Educazione Nazionale gli affidò (1944) il salvataggio delle opere d’arte minacciate dalla guerra, alcune delle quali trasportate in ricoveri predisposti nelle Isole Borromee e a Venezia. Ma nello stesso 1944 fu successivamente collocato in congedo, e gli fu affidata un’altra missione: tutelare il patrimonio della Scuola archeologica italiana di Atene, in quel periodo ufficialmente chiusa.
Dopo la guerra, la lunga fedeltà al fascismo fu contestata al B., che fu sottoposto al giudizio della Commissione di epurazione del ministero della Pubblica Istruzione: ma ne uscì prosciolto. Fu destinato all’ufficio esportazione opere d’arte e successivamente (1950) nominato soprintendente alle antichità dell’Etruria meridionale.
In tale veste, avviò la ripresa degli scavi di Caere e Tarquinia, e diresse quelli di Vulci e di Lucus Feroniae. In collaborazione con l’architetto Franco Minissi curò la nuova sistemazione del Museo di Villa Giulia: anche se tale sistemazione è stata da varie parti criticata, va riconosciuto al B. il merito di essersi battuto perché il Museo non cambiasse sede, conservando così la sua collocazione storica. Di tutte queste attività resta testimonianza in scritti come Le pitture etrusche di Tarquinia, Milano 1955; Gli ultimi scavi nell’Etruria meridionale e il riordinamento del Museo di Villa Giulia, in Tyrrhenica, ibid. 1957; Santa Severa (Roma): scavi e ricerche nel sito dell’antica Pyrgi (1957-58), in Atti dell’Accad. naz. dei Lincei, Notizie degli scavi, s. 8, XIII (1959), pp. 113-263, in collab. con vari autori; Colonia Iulia Felix Lucus Feroniae, Roma 1960; Vulci, ibid. 1960; L’anfiteatro di Lucus Feroniae e il suo fondatore, in Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeologia, XXXIII (1961), pp. 173-189; Il tempio grande di Vulci, in Études Etrusco-Italiques, XXXI (1963), pp. 9-12.
A partire dal 1952, fu ancora a capo di una missione archeologica in Libia: lavorò a Leptis Magna nel foro severiano e nel porto, e studiò a Sabratha monumenti esplorati durante i suoi precedenti soggiorni in Tripolitania. Facendo seguito a La curia di Sabratha, in Quaderni di archeologia della Libia, I (1949), pp. 29-58, poté così pubblicare Il porto romano di Leptis Magna (in collaborazione con A. Zanelli), Roma 1958; Il tempio antoniniano di Sabratha, in Libya antiqua, I (1964), pp. 21 – 42.
Nel 1955-56, infine, fu soprintendente reggente alle antichità di Roma; studiò fra l’altro un celebre sarcofago di Velletri (pubblicato in Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeologia, XXX [1958], pp. 63-69). Anche in questi ultimi anni di servizio, e dopo la messa a riposo, continuò la sua attività di divulgazione (fra l’altro in Le Vie d’Italia e del mondo) e di studio, fino alla morte, avvenuta a Roma il 9 ott. 1963.
Fu socio dell’Accademia nazionale di S. Luca e della Pontificia Accademia romana di archeologia.(fonte)
[3] Vittorio Bartoccini, figlio di Renato, caduto con il suo aereo nei pressi di Malta nel 1941 (medaglia d’argento al valor militare alla memoria). Faceva parte degli ufficiali del corso Sparviero (vedi). La presente pubblicazione proviene dalla documentazione appartenuta a Renato Bartoccini.



