Roma 28 – 9 – 1948
Carissima Liliana,
ieri ho provato un grande dispiacere
nel lasciarti così improvvisamente, pazienza, si vede
che era destino che si stesse ancora una settimana
lontani – Comunque sono contento perché ho
potuto così appurare che non si tratta altro
che di una montatura in quanto non vi è
stata denuncia, ma diffida a non continuare
nella costruzione –
Qui ho trovato tutto a posto – Ieri
poi, ho dovuto fare anzi tutto il viaggio
da Firenze a Roma in piedi, per fortuna ho trovato
una pensione comoda che mi ha consentito
di non stancarmi molto.
Con Amato non ho ancora parlato,
comunque gli dirò che il titolare della ditta
che è amico di suo babbo è fuori Roma, che tornerà
fra alcuni mesi, e oltre l’impiegato ha chiesto 350=
lire e che quindi non ho ritenuto opportuno acquistarla.
Oggi ho parlato al telefono (alle 16) con la mamma,
ma erano anche loro più tranquilli in quanto
avevano già letto sui giornali quanto io stavo
comunicando (oggi) per telefono-
Liliana Brusi andrà domani, con suo zio
Ciccio a Palermo. È venuta oggi, due minuti, a
casa per salutare la mamma- Ho visto Zio Stefano
e Zia Maria (che è venuta a trovare Zio Stefano in
ufficio) che mi hanno incaricato di inviarti tanti
saluti –
Vittorinnino è bravo? ha accolto con piacere i
pastelli ed il quadernetto? – Se puoi, prega suo
babbo di parlare con il Fagiuoli[1] per conoscere se
egli è disposto a concedere, al nominativo che spero
io, l’esclusiva per l’Eritrea e l’Etiopia, venendo assente
che i pagamenti delle navi avverrebbero a
presentazione, in buca, della lettera di carico rilasciato
dal trasportatore marittimo- Attendo in proposito una tua
risposta- Come hanno preso il nostro sganciamento avvenuto
all’ultimo momento, Licurgo e la moglie? Se lui rinuncia
di incontrarli rinnova le mie scuse- Attendo anche
le lettere di tuo babbo per potermi interessare di quanto
gli sta a cuore-
Tanti saluti affettuosi
M[2]
Note
[1] Vincenzo Fagiuoli. Nacque a Verona l’11 sett. 1894 da Alessandro e da Giulia Scolari. Suo padre era direttore delle scuole elementari della città scaligera. Ultimati gli studi secondari, si trasferì a Padova, dove si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia. Malgrado l’opposizione paterna, dopo l’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale, il F. si arruolò volontario, spinto da quegli ideali democratico-risorgimentali che animavano alcuni settori interventisti.
Inviato al fronte in Trentino, venne ferito in maniera abbastanza seria nel 1916. Dopo una lunga degenza in ospedale (che gli consentì tra l’altro, di ultimare gli studi universitari) fu inviato in Francia, dove si occupò, insieme con alcuni ufficiali, dell’amministrazione delle Armi e Munizioni, dell’approvvigionamento di materiali bellici per il paese. Nel novembre del 1917, dopo Caporetto, chiese ed ottenne di ritornare in prima linea. Fu inserito in uno dei reparti che, alla fine di ottobre del 1918, fecero ingresso a Feltre a seguito della rotta austriaca.
All’indomani della fine del conflitto, dopo essere guarito dal tifo contratto negli ultimi mesi di guerra, il F. si avviò alla carriera universitaria, ottenendo la libera docenza in filosofia. Il suo primo incarico fu all’università di Torino, città nella quale, tra il 1919 e il 1920, entrò in contatto con gli ambienti dei fasci di combattimento, partecipando alle manifestazioni promosse dai reduci, iniziative che provocarono scontri e tensioni di piazza. A seguito di tali esperienze, nell’aprile del 1920, egli si iscrisse al partito fascista.
L’esperienza universitaria fu piuttosto breve. Nel 1922, dopo aver partecipato alla marcia su Roma, il F. entrò a far parte del gabinetto del ministro delle Finanze, Alberto De Stefani, veronese come lui e del quale il padre del F. era stato padrino di battesimo. Per un paio d’anni il F. svolse le funzioni di uomo di fiducia dei ministro, curando il suo collegio elettorale e assumendosi incombenze molto riservate.
Il primo incarico fu presso la Società finanziaria per l’industria e il commercio. Tale società era sorta nel 1917 col nome di Società industriale finanziaria per iniziativa del Banco di Roma, che le attribuì la gran parte delle partecipazioni azionarie detenute in società industriali e commerciali assunte tra il 1918 e il 1920. Quando, nel 1923, le voci circa le difficoltà della banca si fecero più insistenti e si dovette porre mano al suo salvataggio, la prima ad essere sottoposta all’intervento pubblico fu proprio la Società finanziaria per l’industria e il commercio (la nuova denominazione venne assunta nel 1923). Il pacchetto azionario di controllo passò alla sezione autonoma del Consorzio per sovvenzioni sui valori industriali. Il primo presidente della Finanziaria “pubblica” fu Oscar Sinigaglia, il quale non portò tuttavia a conclusione l’intera operazione di salvataggio, che fu completata nel giro di tre anni sotto la presidenza del senatore V. Rolandi Ricci, legale di fiducia del Banco di Roma.
Fu proprio durante questa gestione che il F. (ormai stabilitosi a Roma definitivamente, dopo il matrimonio con Elsa Fedrigoni, celebrato nel 1924, e dal quale nacquero quattro figli) cominciò ad interessarsi di questioni di carattere economico ed in particolare della gestione di imprese. L’amicizia personale con il De Stefani, che probabilmente desiderava in qualità di ministro delle Finanze avere anche un controllo dall’interno della società sulle complesse trattative per la sistemazione dell’affare riguardante la banca, fu verosimilmente all’origine del nuovo impegno del Fagiuoli.
L’esperienza compiuta presso questa società e l’amicizia con il Sinigaglia furono molto preziose per il F., allorquando si trattò di individuare un nuovo amministratore delegato per la Società egiziana fosfati (SEF), l’unica restata nelle mani della Finanziaria dopo la liquidazione o la cessione a terzi delle sue partecipazioni.
In realtà anche per questa azienda, che sfruttava una miniera di fosfati a Kosseir, in Egitto, erano state avviate trattative per un suo passaggio alla Montecatini, ma si arenarono a causa di divergenze sul prezzo del pacchetto azionario di controllo. La SEF diventava così una delle prime imprese statali e il F. poteva considerarsi quindi una sorta di manager pubblico ante litteram.
Tra la seconda metà degli anni ’20 ed i primi anni ’30 il F. si occupò attivamente dello sviluppo delle attività di questa impresa e delle sue controllate. Fra l’altro egli venne nominato direttore generale della S. a. Fertilizzanti d’Italia (SAFNI), la prima azienda ad operare in regime di concorrenza con i privati in campo industriale. Abile nel muoversi negli ambienti economici e diplomatici internazionali (una dote che gli valse la stima e l’amicizia dei ministro degli Esteri Dino Grandi), formatosi in un ambiente che considerava l’impresa pubblica come un’azienda da gestire secondo criteri rigidamente economici, il F. (a quel momento presidente anche della S. a. Fabbrica interconsortile di concimi e prodotti chimici della Campania, amministratore delegato della Navigazione eritrea, entrambe controllate dalla SAFNI, oltre che consigliere della Società elettrica coloniale e della S. a. per l’industria del vetro e membro del collegio sindacale dell’Istituto nazionale di credito per il lavoro italiano all’estero) divenne il candidato ideale per ricoprire la carica di presidente della Monte Amiata, quando la società esercente le miniere di mercurio situate ad Abbadia San Salvatore entrò nell’orbita dell’IRI (Istituto per la ricostruzione italiana) con lo smobilizzo delle “banche miste”.
L’opera del F. alla testa dell’impresa mineraria fu tesa innanzitutto all’attuazione di un severo programma di salvataggio. La Monte Amiata veniva da alcuni anni di gravi difficoltà, accentuate, ma non provocate, dalla crisi del ’29. La sua presidenza si caratterizzò per un ripristino dei criteri di economicità nella gestione delle miniere che, quantomeno in una prima fase, si concretizzarono in una riduzione dei salari, controbilanciata da un ampliamento delle prestazioni di carattere assistenziale per i lavoratori e le loro famiglie (colonie, asili, qualche miglioramento nelle strutture ospedaliere gestite dalla società). Sul piano internazionale, specialmente nei rapporti con i maggiori concorrenti in campo mercurifero, gli Spagnoli, con i quali era in vigore un cartello dal 1928, il F. riuscì a rinegoziare un accordo più favorevole all’Italia. Le miniere di Abbadia San Salvatore conobbero, nella seconda metà degli anni ’30, un momento particolarmente favorevole, che fece salire la produzione di bombole di mercurio dalle 23-27 mila del decennio precedente (ma negli anni di crisi più acuta, tra il 1933 e il 1934, ne erano state prodotte solo poche migliaia) ad oltre 36 mila, la gran parte delle quali veniva smerciata sui mercati esteri, garantendo al paese uno dei pochi, costanti flussi di valuta in un periodo di forti perturbazioni monetarie a livello internazionale.
Malgrado i molti impegni nella Monte Amiata, il F. non smise di occuparsi della SEF e, più in generale, dei numerosi interessi che l’Italia, quasi sempre attraverso l’IRI, vantava in Africa. Sul finire del decennio si ritrova infatti il F. (il quale nel frattempo era divenuto grande ufficiale della Corona), oltre che nelle società già ricordate, nei consigli d’amministrazione della Società delle fornaci del Neragium, della Società per la raccolta e il commercio delle spugne, entrambi operanti in Libia, in quello della S. a. delle saline di Port Said, nella Immobiliare di costruzioni Gualdi, nella Società italo-francese per il commercio del sale. Inoltre nel 1937 egli, divenuto nel frattempo anche presidente della Società italiana per il commercio estero, ricevette l’incarico dal ministro degli Scambi e delle Valute, F. Guarnieri, con cui era in rapporti d’amicizia, di coordinare la politica di acquisti di merci spagnole, che dovevano servire a finanziare parte delle esportazioni italiane di materiale bellico verso la Spagna a seguito degli accordi tra G. Ciano e F. Franco.
L’abilità di negoziatore a livello internazionale gli valse le credenziali di ministro di primo grado (oltre a procurargli onorificenze ufficiali in Ungheria e in Spagna), ma soprattutto fece del F. un degno rappresentante di quella discreta diplomazia parallela che, nei mesi che precedettero il secondo conflitto mondiale, cercò, anche se invano, di evitare l’irreparabile. Così, nel febbraio del 1939, venne mandato in Egitto come inviato speciale di Ciano per discutere con Paul Boudouin, funzionario del ministero delle Finanze di Parigi e presidente della Società italo-francese per il commercio del sale, i termini di un accordo per la neutralità italiana in caso di guerra.
In alcune vicende interne, capitate in quello stesso periodo, il F. si dimostrò invece meno abile. Dapprima, nel 1939, dovette accettare l’assorbimento da parte della Monte Amiata delle miniere di Idria (allora Venezia Giulia), gestite dal 1919 dal ministero delle Finanze. All’indomani dell’entrata in guerra tentò, ma inutilmente per l’opposizione del ministro P. Thaon di Revel, di far passare sotto il controllo della stessa impresa la Società mineraria e metallurgica di Pertusola, filiale italiana del gruppo francese Peñarroya, finita sotto sequestro essendo proprietà nemica. In quegli stessi mesi dovette inoltre subire un altro scacco. Lo Stabilimento minerario del Siele, passato nel 1937 dalla famiglia Rosselli alla Banca nazionale dell’agricoltura, riuscì ad ottenere una quota maggiore nella ripartizione della produzione tra le varie miniere italiane di mercurio. I forti legami con gli ambienti politici che vantava il nuovo gruppo dirigente del Siele (capeggiato da Zenone Benini, amico di Ciano, oltre che direttore generale della Pignone e vicepresidente della Corporazione della metallurgia e della meccanica) furono alla base di una scelta che penalizzava indubbiamente gli interessi pubblici a favore di quelli privati.
Questa serie di insuccessi personali, uniti probabilmente ad un temperamento poco disponibile alla mediazione, quando erano di mezzo gli interessi generali dello Stato, indebolirono notevolmente il F., il quale dal 1932 non aveva più rinnovato la tessera del Partito nazionale fascista, mentre a partire dal 1936 il suo nome era finito sulla lista delle personalità che la polizia segreta doveva sorvegliare discretamente, un elemento, questo, che mostrava come certe sue amicizie con alcuni gerarchi del regime non fossero in grado di metterlo al sicuro da qualsiasi attacco. Quando poi, nei primi mesi del 1943, si rifiutò di assecondare le richieste di Marcello Petacci, fratello di Claretta, per la realizzazione di certi affari in Spagna, che il F. avrebbe dovuto in qualche modo facilitare, il suo ruolo di manager pubblico del regime fu segnato. Mussolini lo fece dimettere da tutti gli incarichi, mentre la polizia tributaria avviò un’indagine sul suo patrimonio personale, che peraltro non ebbe seguito. Se la vicenda che portò alla conclusione di una carriera quasi ventennale nell’ambiente delle imprese statali fu assolutamente pretestuosa, la traumatica uscita di scena del F. giungeva a conclusione di una serie di infortuni nei quali egli era incorso ed in cui si erano mescolati affari, politica, ambizioni personali e lotta fra gerarchi. Ed in nessuna di tali circostanze egli si trovò dalla parte del vincitore.
Le protezioni e le amicizie di cui continuava a godere in certi ambienti consentirono tuttavia un suo parziale recupero. Nel luglio del 1943 il F. venne infatti inviato in Grecia in qualità di rappresentante del governo per le questioni economiche e li si occupò per alcune settimane, anche a nome della Croce rossa italiana, dell’invio di viveri nei Balcani.
Lasciata Atene all’indomani dell’8 settembre e tornato nel Veronese, dove possedeva delle terre, il F. si adoperò personalmente per mettere in salvo numerose famiglie ebree ricercate da Tedeschi e repubblichini. Finita la guerra, ottenne dal ministro degli Esteri C. Sforza l’incarico di seguire il recupero dei beni italiani sequestrati in Egitto e venne nuovamente insediato alla presidenza della SEF. Attraverso questo doppio ruolo negoziò a nome del governo un accordo commerciale tra l’Italia e l’Egitto, che servì ad eliminare ogni contenzioso circa le riparazioni di guerra che il paese doveva pagare per le sue operazioni militari in Nordafrica. L’unico altro incarico che mantenne fu quello di presidente della Cartiera Fedrigoni di Verona, un’azienda di famiglia. Lasciò entrambe le cariche nel 1964, quando all’età di settant’anni si ritirò dagli affari, dedicandosi interamente e con passione alla bibliofilia, un interesse che aveva coltivato, da uomo di vasta cultura classica quale era, per tutta la vita.
Il F. morì a Roma il 26 febbr. 1985.(fonte)
Fagiuoli, Amministratore Delegato della Sane al Ministero degli Affari Esteri, dal 18 settembre 1940. Nota su”La porta degli imperi. Il ruolo dell’Eritrea e degli imprenditori italiani in Africa orientale 1934‐1953″ di Matteo Nardozi (fonte)
Fu costituita, nel 1931, la Società Anonima di Navigazione Eritrea (SANE), una compagnia di navigazione, con sede sociale a Massaua, che avrebbe dovuto collegare i porti eritrei con quello yemenita di Hodeidah; oltre alla creazione di una banca italo-yemenita, alla costruzione di una strada da Hodeidah a Sana’a e di una società per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Allo Yemen furono venduti alcuni lotti di armi, come fucili, artiglierie e relative munizioni. Fu creata anche una sede sulla costa yemenita dei Servizi Informazioni Militari (SIM) con la relativa creazione di una rete di informatori . Oggi possiamo dire che si stavano gettando le basi per creare una vera e propria alleanza, una sorta di protettorato.(fonte)
[2] Mario Bocca il figlio di Magno Vittorio Bocca sarà segretario di Rodolfo Graziani in Libia nel 1940. Nella Repubblica Sociale Italiana, dal 6 gennaio 1944, quando il Ministero della Difesa (divenuto delle Forze Armate) si insedierà a Villa Omodeo, nel territorio di Soiano del Lago (BS), sarà il Capo di Gabinetto di Graziani.(fonte)