PEL GIUBILEO SACERDOTALE
DEL SOMMO PONTEFICE
LEONE XIII
IL BREVE PONTIFICIO
DEL 13 LUGLIO 1886 (Dolemus inter alia)
SULLA COMPAGNIA DI GESÙ
Un’improvvisa voce in Vaticano
Alto echeggiò pel gemino emisfero:
Il fedele stupì, fremè l’insano
Al franco decretar del maggior Piero.
Parve ardimento all’occhio del profano
L’oste sfidare ad odio anche più fiero:
Era importuno ravvivar la guerra
Che da molt’ anni ogni giustizia atterra.
Parlò Leon[1] dal soglio, e in mezzo all’ ire
Non paventò nuovi sinistri e danni
Un pensiero d’ amor gli diè l’ ardire
Di figlia antica a sollevar gli affanni;
Era la fida contra cui le mire
Volge Satana ognor con frodi e inganni;
Ma il Padre sol, cui nuovo amor consiglia,
Raccoglie al son la combattuta figlia.
È la figlia d’ Ignazio: un dì sull’ ara
Ella chinò l’ intemerata fronte ,
E mesta s’ immolò nell’ empia gara
Di re giurati della Chiesa all’ onte.
Oggi Leon, che illustra la tiara
In sua virtù fin oltre il mare e il monte ,
Sperde del buon Clemente i detti e l’ opre,
E del primo splendor avviva e copre.
Come sul mar repente la bufera
Leva i flutti alle nubi, e mugghia e freme;
Dall’ Alpi al Lilibeo così la schiera
Che di Satanno sotto il ferro geme ,
Urla, minaccia, impreca, e menzogniera
Grida al periglio, che l’ Italia preme ;
E forsennando per le strade e i fori.
Spinge le turbe ai soliti clamori.
Nella infernal tregenda al pio drappello,
Che crocifisso ognor combatte e regna,
Sorge d’ astio e livor nuovo flagello ,
E la lotta alla Chiesa arde più indegna;
Delle vergini sacre il chiuso ostello
Vede di falsa libertà insegna . . .
Non è già tema di nemiche genti:
È vile tirannia degl’ innocenti.
E fosser sol nemici a Ignazio i felli ,
Che di Cristo rinnegan la possanza!
Talor gli rfluovon guerra anche i fratelli,
Che dicon di sperar l’ eterna stanza.
Strettisi in arnistade coi rubelli
Spiegano in assalire altra baldanza,
Perchè vestendo ipocrita visiera
Usan del serpe rio l’ arte più nera.
Non si scuote Leon: sorride ai dardi
Che gli scocca dell’ empio la faretra;
E dispregiando i palpiti codardi ,
Dall’amor della figlia non. si arretra .
Ai prischi allori aggiugne i tre stendardi
Dei nuovi eroi, ch’ oggi Ei solleva all’etra:
Son tre figli d’ Ignazio in un sol giorno
Assisi in trono d’ ogni luce adorno.
Essi son lustro alle diverse schiere,
In che d’ son divisi i figli.
Pastor fu Claver delle genti nere
Cadute dei predon tra i fieri artigli:
Alfonso è specchio all’ umile mestiere :
Berchmans di gioventù presenta i gigli.
Sì raro vanto, che a quei prodi arride
Sganni le illuse, e punga l’ alme infide.
Divo Leon, se al rimembrar dell’ ora,
In cui da lustri la prima Ostia offristi,
Applaude il mondo, e giubilando infiora
Il soglio Tuo di peregrini acquisti,
Questa figlia d’ Ignazio, che si onora
Sol della croce innanzi ai buoni, e ai tristi,
Oggi al Tuo piè rinnova il primo giuro :
« Trionfi Pietro, ed il morir non curo ».
F. C. S. I.
Napoli dicembre 1887
Note
[1] Leóne XIII papa. Vincenzo Gioacchino dei conti Pecci (Carpineto Romano 1810 – Roma 1903) fu eletto papa nel 1878. L’intervento più significativo del suo pontificato fu l’enciclica Rerum novarum (1891) che costituì il fondamento teorico della dottrina sociale cattolica e rappresentò la risposta della Chiesa sulla questione operaia. Pur condannando le dottrine socialiste, l’enciclica denunciava le ripercussioni sociali delle trasformazioni economiche provocate dall’espansione del capitalismo industriale, sollecitava la formazione di associazioni sindacali operaie, nel quadro di rapporti con i datori di lavoro improntati alla solidarietà cristiana, e affermava la necessità di un ruolo dello stato nei conflitti tra capitale e lavoro.
Vita e attività
Entrato nel 1818 nel collegio dei padri gesuiti di Viterbo, nel 1824 si trasferì a Roma, presso il Collegio romano; nel 1832 si iscrisse all’Università della Sapienza, dedicandosi agli studi in diritto canonico e civile, e ottenendo, nel 1835, la laurea in utroque iure. Ordinato sacerdote nel 1837, nel 1838 fu nominato delegato apostolico di Benevento dove mise in mostra la sua abilità di amministratore e di politico, nonostante le difficoltà create dal brigantaggio e dalle cospirazioni mazziniane; nel 1841 fu trasferito a Perugia. Arcivescovo titolare di Damiata nel 1843, nello stesso anno fu inviato come nunzio pontificio in Belgio, dove affrontò senza successo il problema della divisione del clero locale tra intransigenti e seguaci delle idee di Lamennais, e quello dei contrasti tra governo e partito clericale. Lasciata la diplomazia, nel 1846 gli fu affidato il vescovato di Perugia, che tenne sino al 1876. Pur non condividendo la politica interna del card. Antonelli dopo il 1849, egli, cardinale nel 1857, fautore del potere temporale, si oppose all’annessione dell’Umbria al Regno d’Italia, protestando con energia contro l’introduzione della legislazione ecclesiastica piemontese. Nominato camerlengo alla morte del cardinale Antonelli (nov. 1876), la sua fama di prelato esperto ed equilibrato gli valse l’elezione al trono pontificio, avvenuta il 20 febbr. 1878. In un’allocuzione concistoriale del marzo 1878, L. ribadì le ragioni della Santa Sede, ma con un tono meno aspro di quello del suo predecessore Pio IX, sicché parve aprirsi la possibilità di una qualche conciliazione con il Regno, del resto subito compromessa dall’atteggiamento anticlericale della Sinistra al potere. L. cercò quindi, poggiando sull’opinione pubblica cattolica internazionale, di tenere viva la questione romana e, specie nel biennio 1880-82, di ottenere, mediante l’appoggio delle potenze straniere, una restaurazione del potere temporale; ma la manovra fallì, poiché la stipulazione della Triplice Alleanza mise al sicuro l’Italia anche da possibili iniziative ostili da parte dell’Austria. Migliorarono invece i rapporti con la Germania dove Bismarck, per motivi di politica interna, aveva parzialmente mitigato la sua politica anticattolica. Un’allocuzione concistoriale del maggio 1887, in cui L. auspicava un atteggiamento conciliativo anche da parte italiana, e la pubblicazione dell’opuscolo La conciliazione dell’abate L. Tosti, sollevarono ancora una volta speranze, presto svanite però per una ripresa di anticlericalismo che culminò nella destituzione del sindaco di Roma, per avere questi visitato, in occasione del giubileo sacerdotale di L., il cardinale vicario, e nell’erezione nella capitale del monumento a Giordano Bruno. L. si appoggiò allora alla Francia, che però, pur minacciando di riaprire la questione romana per i suoi interessi internazionali, non rallentò il suo indirizzo di laicizzazione della vita interna della repubblica. Negli anni successivi, nonostante l’abilità del segretario di stato card. Rampolla, L. non riuscì a ottenere un miglioramento dei rapporti della Chiesa con l’Italia; anche in Francia l’intransigenza del partito cattolico, che nonostante le esortazioni di L. (encicl. Inter innumeras sollicitudines, 16 febbr. 1892) non rinunciò al suo rigido legittimismo, rifiutando di riconoscere lo stato repubblicano, provocò la completa rottura con la S. Sede. Spirito colto, sensibile, L. alternò fasi di irrigidimento conservatore a fasi di politica aperta alle esigenze moderne e innovatrici. Fu suo merito l’apertura agli studiosi degli archivî vaticani (1881).(fonte)